Negli ultimi mesi, gli Stati Uniti hanno assistito a un allargamento senza precedenti dei poteri attribuiti alla presidenza di donald Trump. A inizio 2025, in poco più di due settimane, il Congresso ha approvato una legge economica chiave voluta dal presidente, malgrado sia tra le meno gradite dai cittadini americani. Parallelamente, la Corte Suprema ha modificato l’equilibrio tra i poteri dello stato, limitando l’intervento dei giudici federali nei confronti delle decisioni esecutive. Sullo sfondo resta il ruolo centrale di trump nel plasmare l’attività degli altri due poteri, spostando il baricentro verso un esecutivo più forte e meno soggetto a vincoli.
L’espansione del potere esecutivo sotto la presidenza trump
Fin dal suo insediamento nel 2017, trump ha mostrato la volontà di ampliare i margini di azione del presidente. Negli ultimi mesi questa tendenza ha preso vigore con azioni che hanno spinto i limiti costituzionali dell’esecutivo. Trump si è mosso spesso sfidando la normale interpretazione di leggi e regolamenti, misurando fino a dove poteva spingersi senza incontrare forti opposizioni. Questa strategia si è tradotta in provvedimenti presidenziali supportati dal Congresso e dalla Corte Suprema, non più pronti a frenare decisioni che un tempo avrebbero acceso battaglie istituzionali.
Il sistema statunitense, nato per bilanciare i poteri tra esecutivo, legislativo e giudiziario, si basa su un equilibrio pensato per evitare che una singola istituzione prenda il sopravvento. Nel cerimoniale ufficiale questo si nota anche in piccoli dettagli, come il fatto che il presidente non possa entrare nel Congresso se non invitato per occasioni formali come il discorso sullo stato dell’Unione. Nonostante ciò oggi il quadro è mutato. Il controllo reciproco tra i poteri appare meno saldo, complici scelte politiche e giudiziarie che hanno lasciato più spazio all’esecutivo.
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Il Congresso sotto il controllo dei repubblicani
Il Congresso, domina dai repubblicani, non esercita più quella funzione di controllo che ha imposto in passato. Trump esercita una forte influenza su deputati e senatori perché il suo potere sull’elettorato conservatore è decisivo per la rielezione. Parlamentari che non incontrano il favore del presidente rischiano di essere esclusi dalle primarie o subire campagne forti contro di loro. Ne deriva una maggiore conformità nelle decisioni, con molti esponenti del partito più attenti a compiacere trump piuttosto che a seguire convinzioni proprie o rispondere alle richieste degli elettori locali.
La senatrice lisa murkowski dell’Alaska, una voce centrista nel partito repubblicano, ha fatto trapelare in diverse occasioni il clima di timore provocato dal ruolo dominante di trump all’interno del Congresso. Tra i casi più eclatanti c’è l’approvazione della cosiddetta “grande e bellissima legge”, una legge economica che introduce ampi tagli fiscali e prevede un aumento rilevante del debito pubblico. Il testo era fortemente impopolare ma è stato comunque approvato in massa, anche da coloro che inizialmente avevano detto no. Murkowski stessa ha finito per votare a favore dopo aver ottenuto alcuni benefici per i propri elettori.
Negli anni precedenti il Congresso spesso si opponeva al presidente anche quando erano dello stesso partito. L’esempio più noto resta l’aggressività dei senatori repubblicani contro richard nixon, costretto a dimettersi dopo lo scandalo Watergate. È un esempio di come prima le istituzioni riuscissero a mantenere un qualche grado d’indipendenza rispetto all’esecutivo.
La corte suprema e la riduzione del potere dei giudici federali
La Corte Suprema, almeno sulla carta più autonoma rispetto al Congresso, ha assunto un orientamento sempre più vicino a trump. Oggi sei giudici su nove sono conservatori, e tre di loro sono stati nominati direttamente dal presidente. Questo ha spostato le decisioni della corte a favore di una maggiore autonomia del potere esecutivo e contro gli strumenti giudiziari che finora avevano frenato alcune politiche presidenziali.
Un esempio chiave riguarda il blocco all’uso delle ingiunzioni da parte dei giudici federali per fermare provvedimenti della presidenza. In passato questi blocchi avevano limitato misure come il famoso “travel ban” contro specifici paesi musulmani. Recentemente, la corte ha annullato un’ingiunzione che proteggeva otto uomini dall’espulsione in Sudan del Sud. A seguito della sentenza, gli otto sono stati rimandati nel paese africano, anche se ci sono rischi concreti di violenze.
Un altro punto deciso dalla corte riguarda l’immunità giudiziaria per il presidente. Nel 2024 la corte ha confermato che il presidente è protetto da processi per atti compiuti durante il mandato, facendo così cadere molte cause giudiziarie aperte contro trump.
Strategie più sottili per espandere il controllo
Non tutte le mosse per rafforzare la presidenza sono state evidenti o episodiche. Alcune hanno riguardato decisioni più sottili che hanno annullato o modificato azioni del Congresso con ordini esecutivi. Un esempio è il caso di TikTok, il social media cinese. Nel 2024 il Congresso aveva approvato una legge che proibiva l’app del colosso asiatico negli Stati Uniti, a meno che l’azienda non fosse ceduta a un compratore nazionale. Trump ha firmato un ordine esecutivo che sospendeva l’applicazione di questa legge lasciando l’app in funzione, bypassando così la volontà parlamentare.
Il governo definisce queste azioni come un ripristino del giusto equilibrio tra poteri, sostenendo che in passato giudiziario e legislativo erano sovraesposti a discapito dell’esecutivo. Il portavoce harrison fields ha dichiarato al Washington Post che “difendere la presidenza come potere paritetico non significa abusarne.”
Chi sostiene trump ricorda che la specie di “super poteri” conquistati dall’esecutivo non spariranno con lui, ma saranno eredità per i suoi successori.
Le oscillazioni storiche nel peso dei poteri presidenziali
Questa fase si inserisce nella storia americana come un momento di cambiamenti tra i poteri dello stato. Dopo la seconda guerra mondiale la figura del presidente aveva acquisito grande forza, tanto che si parlò di “presidenza imperiale”, cioè con scarso controllo costituzionale. La spinta al riequilibrio era poi arrivata con gli scandali del Watergate e con la guerra in Vietnam, che rafforzarono Congresso e sistema giudiziario a discapito dell’esecutivo.
Oggi però torna a prevalere la fase opposta, con un presidente che riesce a influenzare in maniera decisiva gli altri due poteri, anche a costo di mettere da parte tradizionali garanzie di equilibrio. Negli anni a venire questa nuova configurazione influenzerà in modo forte l’azione politica e istituzionale a Washington, disegnando uno scenario in cui l’esecutivo resta al centro delle decisioni più cruciali.