L’annuncio del presidente Donald Trump di imporre un dazio del 100% su tutti i film realizzati fuori dagli Stati Uniti ha acceso un dibattito globale. L’industria cinematografica americana si trova davanti a uno scenario complesso, in cui politica e commercio si intrecciano con l’influenza culturale. Il provvedimento, oltre a sollevare perplessità tecniche, mette in tensione uno dei settori simbolo della cultura statunitense nel mondo, aprendo nuove pagine di confronto nel panorama dell’entertainment internazionale.
La proposta di trump e le criticità tecniche del dazio sui film stranieri
Trump, dal suo profilo Truth Social, ha lanciato un messaggio forte definendo l’industria cinematografica “in rapido declino” e proponendo di tassare i film prodotti al di fuori degli Stati Uniti con un dazio pari al 100%. L’obiettivo esplicito è spingere a riportare la produzione sul suolo americano, punendo economicamente chi sfrutta location e risorse estere. Tuttavia, la natura stessa del prodotto, ormai quasi esclusivamente distribuito in formato digitale, rende difficile applicare un dazio doganale tradizionale.
Per un dazio simile diventare operativo, servirebbe una forma di tassazione digitale complessa, soggetta a lunghi processi legislativi e al voto del Congresso americano. Oltre a questo, esiste una moratoria dell’Organizzazione Mondiale del Commercio, in vigore da 27 anni, che esclude le trasmissioni digitali da imposizioni tariffarie. Quindi, prima di diventare legge, la proposta dovrebbe superare ostacoli internazionali e interni al sistema legislativo Usa.
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Una scelta politica che sfida la tecnologia
La fragilità tecnica della misura non ha però fermato la scelta politica, che esprime una volontà chiara: trasformare l’industria del cinema da semplice mercato a tassello strategico nel quadro globale delle relazioni politiche ed economiche. La sfida si gioca su un terreno inedito, dove la cultura diventa materiale di contrapposizione commerciale.
Hollywood e la geopolitica dell’entertainment in un mondo multipolare
Da decenni la produzione cinematografica americana ha veicolato valori e modelli culturali in tutto il mondo. Hollywood ha imposto stili narrativi, linguaggi e ideali legati al contesto occidentale, offrendo un’ampia influenza che va al di là del mero profitto. L’industria non solo ha segnato tendenze artistiche, ma ha contribuito a costruire il soft power degli Stati Uniti sul piano internazionale.
La proposta di Trump spinge a mettere in discussione un sistema produttivo globale ormai consolidato. Gli studi cinematografici, i servizi di streaming e i produttori indipendenti si affidano a un ecosistema internazionale fatto di incentivi fiscali, manodopera locale e vantaggi logistici. Questi elementi incrociano tanti mercati e territori, rendendo sempre più complesso definire cosa sia un film “americano”.
Parole di Bill Mechanic sull’impatto del dazio
Bill Mechanic, ex chairman di Fox Filmed Entertainment, ha indicato in questo dazio una reazione punitiva contro chi durante la campagna presidenziale non ha sostenuto Trump. Al contempo, ha sottolineato il rischio di un danno irreparabile per la produzione indipendente, minando una rete produttiva che ha garantito agli Stati Uniti uno dei pochissimi surplus commerciali rilevanti nell’entertainment.
In un mondo dove le produzioni dalla Cina, dalla Corea, dall’India e dall’Europa conquistano sempre più spazio, isolare Hollywood potrebbe significare aprire la strada a una perdita di pubblico e influenza.
L’entertainment come campo di battaglia delle tensioni politiche globali
La decisione di Trump rientra in un modello più ampio, dove l’intrattenimento si trasforma in un terreno di scontro geopolitico. Le guerre tradizionali trovano oggi un’equivalenza nel confronto culturale che si svolge attraverso serie tv, film, videogiochi e piattaforme streaming.
Questa mossa segna un cambiamento nelle strategie di controllo e influenza. Non si tratta più solo di regole commerciali, ma di un messaggio forte: gli Stati Uniti vogliono esercitare un controllo diretto sulla produzione culturale, evitando che strumenti chiave del proprio soft power siano realizzati fuori dei propri confini. Il prezzo potrebbe essere una forte pressione economica sulla produzione estera, fino a renderla insostenibile.
Il provvedimento, in questo senso, si rivolge sia a elettori contrari alla globalizzazione, sia a potenziali avversari internazionali, con l’intento di riaffermare il controllo statunitense su una delle sue forme di potere simbolico principali.
Un rischio per l’industria culturale globale
Il provvedimento si configura quindi come un simbolo dei tempi attuali: la cultura usata come strumento politico e commerciale, in un mondo che si muove verso nuovi equilibri e scontri multipolari.
Le reazioni dell’industria e le prospettive per il futuro dell’entertainment mondiale
L’industria cinematografica al momento mantiene un atteggiamento prudente. Le grandi major del cinema sembrano evitare dichiarazioni pubbliche, mentre le piattaforme di streaming restano silenziose, forse per valutare le implicazioni economiche e strategiche di una possibile entrata in vigore del provvedimento.
La preoccupazione principale riguarda l’impatto su tutta la filiera internazionale. Se la misura dovesse affermarsi, cambierebbe radicalmente il modo in cui si struttura la produzione culturale globale. Gli enti produttivi dovranno fare i conti con nuove regole imposte da logiche politiche più che artistiche.
Questa annuncio, più di una semplice misura commerciale, rappresenta una svolta. L’industria del cinema e della cultura dovrà affrontare un contesto dove ogni opera potrebbe diventare un simbolo di potere nazionale, mettendo in discussione le libertà creative fino ad oggi garantite. Hollywood, con il suo ruolo storico e globale, si trova ora a un bivio con importanti conseguenze per il futuro della cultura internazionale.