Lo sgombero del centro sociale Leoncavallo a Milano ha riacceso il dibattito su come il governo sta gestendo le occupazioni abusive in Italia. Dopo quasi cinquant’anni di attività, il centro è stato liberato su ordine della magistratura, un intervento che ha sollevato dubbi sull’applicazione della legge, soprattutto alla luce di altri casi come quello di CasaPound, finora risparmiato da sgomberi simili. Non è solo una questione legale, ma anche di quale spazio dare a realtà sociali e culturali nelle nostre città.
Leoncavallo sgomberato: si chiude un capitolo lungo mezzo secolo
Il 21 agosto 2025 Leoncavallo ha spento le luci nell’edificio occupato dal 1975. La decisione arriva dopo una sentenza che ha obbligato il ministero dell’Interno a risarcire i proprietari per un precedente mancato sgombero. Con questa mossa, si chiude una lunga stagione di impegno culturale e sociale a Milano. Intanto il Comune sta cercando di trovare un nuovo posto dove il centro possa continuare a vivere, pensando anche a vecchi immobili pubblici da rimettere a nuovo.
Lo sgombero ha provocato reazioni forti in città. Molti movimenti e realtà vicine a Leoncavallo hanno protestato, vedendo in questa decisione un colpo a un punto di riferimento importante per la partecipazione civile. Dall’altra parte, la magistratura ha ribadito che la proprietà privata e la legge vengono prima di tutto. La vicenda mette in evidenza la tensione tra rispetto delle regole e la domanda di spazi alternativi, un tema che riguarda tante città italiane.
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A Roma, CasaPound occupa da oltre vent’anni un edificio di proprietà dell’Agenzia del Demanio. Nonostante una sentenza del 2023 che ha dichiarato l’occupazione abusiva, finora nessuno sgombero è stato eseguito. Questa differenza rispetto a Leoncavallo ha scatenato polemiche. Le opposizioni accusano il governo di fare due pesi e due misure, mostrando tolleranza verso realtà di estrema destra e invece agendo con rigore altrove.
La situazione è delicata. CasaPound è vista da molti come un gruppo politico radicato nel territorio, che ha creato reti di solidarietà e servizi, sostenendo di avere una funzione sociale oltre l’occupazione. La sentenza parla chiaro, ma il mancato sgombero alimenta il dubbio sulla reale volontà politica di intervenire. Questo caso mette in crisi il rapporto tra governo, magistratura e opinione pubblica, e solleva interrogativi sul modo in cui lo Stato gestisce la proprietà pubblica e la convivenza in città.
Governo diviso sugli sgomberi: legalità sì, ma con sfumature
Nel mezzo di questo dibattito c’è il messaggio ufficiale del governo, affidato al ministro della Cultura, Alessandro Giuli. Giuli ha ribadito che “non ci devono essere spazi di illegalità e incubatori di violenza”, parlando in generale di tutte le occupazioni abusive. Ma ha anche precisato che per agire serve rispettare criteri chiari. Sul caso CasaPound ha detto che “finché l’organizzazione rispetta la legge, lo sgombero non è automatico.”
Questa posizione distingue tra occupazioni da sgomberare subito e situazioni più complicate che richiedono cautela. Dall’altra parte c’è il ministro dell’Interno Piantedosi, che ha spinto per una linea di “tolleranza zero”, come dimostrato con Leoncavallo. Da qui nascono accuse di incoerenza e di doppio standard, soprattutto da parte delle opposizioni e di una parte dell’opinione pubblica.
In fondo, queste situazioni riflettono tensioni più ampie legate all’ordine pubblico, ai diritti sociali e alla proprietà. Il governo deve trovare il modo giusto per intervenire, ma le polemiche mostrano quanto sia difficile conciliare leggi, politica e questioni sociali. Per ora, lo sgombero di Leoncavallo è un fatto compiuto, mentre il caso CasaPound resta aperto e controverso.
Il caso di Milano e quello di Roma raccontano molto del confronto in corso sugli spazi occupati, sulle regole da applicare e sul ruolo delle istituzioni. Sono scelte difficili, che stanno ridisegnando il rapporto tra cittadinanza, cultura e legge nelle nostre città.