Il Presidente USA Donald Trump è pronto a prendersi il tesoro da 20.000 miliardi di euro appena scoperto: cosa sta succedendo e quali sono le conseguenze.
Il mondo sta vivendo una corsa all’oro senza precedenti, ma questa volta non riguarda pepite o miniere d’argento. I veri protagonisti sono i minerali critici, essenziali per la tecnologia moderna e per la transizione energetica. Recentemente, l’ex presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, ha manifestato un rinnovato interesse per un potenziale tesoro sottomarino, stimato in 20.000 miliardi di euro. La sua determinazione nel garantire l’accesso a queste risorse ha sollevato preoccupazioni sia per l’economia che per l’ecosistema marino.
Negli ultimi anni, Trump ha concentrato la sua attenzione su territori strategici come la Groenlandia e l’Ucraina, ma ora sembra aver rivolto il suo sguardo verso il fondo dell’oceano. A aprile, ha firmato un’ordinanza esecutiva per avviare una nuova industria di estrazione mineraria sottomarina commerciale, scatenando un acceso dibattito tra ambientalisti, scienziati e politici.
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L’industria mineraria sottomarina è in fase di sviluppo, ma non esiste ancora un’operazione commerciale su larga scala. Gli attivisti ambientali avvertono che l’estrazione di minerali dal fondo dell’oceano potrebbe causare danni irreparabili a specie ed ecosistemi che si sono evoluti nel corso di milioni di anni. Infatti, oltre il 99% degli oceani rimane ancora un mistero per l’umanità, e la possibilità di distruggere questo habitat fragile è un rischio concreto. I minerali sottomarini di interesse comprendono rame, cobalto, nichel, zinco e manganese, tutti fondamentali per la produzione di chip per computer, batterie moderne e altri prodotti essenziali per la transizione verso fonti di energia pulita.
Questi giacimenti si trovano in tre ecosistemi principali: i noduli polimetallici, le bocche idrotermali e le montagne sottomarine. I noduli polimetallici sono piccole rocce di dimensioni simili a quelle di una patata, che si formano nel fondo dell’oceano attorno a pezzi di materia organica, come denti di squalo o frammenti di conchiglie. Questi noduli contengono metalli preziosi e sono distribuiti in vaste aree, in particolare nella Zona di Clarion-Clipperton, un’area dell’Oceano Pacifico tra Messico e Hawaii che si estende per oltre 3.000 miglia e raggiunge profondità di 12.000-18.000 piedi.

Le bocche idrotermali, altro obiettivo della ricerca mineraria, sono fessure nel fondo marino che emettono acqua super riscaldata e ricca di minerali. Quando quest’acqua si raffredda, si formano depositi metallici che possono contenere rame, zinco e, in alcuni casi, oro e argento. Infine, le montagne sottomarine, che si ergono per migliaia di piedi sopra il fondale marino, presentano croste ricche di cobalto. I rischi associati all’estrazione mineraria in acque profonde sono enormi. Gli scienziati avvertono che l’erosione dei fondali marini potrebbe portare a una perdita irreversibile di biodiversità.
Le nuvole di sedimenti sollevate dalle operazioni minerarie potrebbero danneggiare la vita marina, così come il fango pompato di ritorno nell’oceano dalle navi di supporto. Inoltre, i rumori dei macchinari potrebbero disturbare cetacei e altre specie marine, con effetti potenzialmente devastanti sugli ecosistemi. A lungo termine, si teme che i danni ai paesaggi sottomarini possano avere ripercussioni su tutto l’oceano e influenzare le attività di pesca. Il futuro dell’estrazione mineraria sottomarina è quindi avvolto da incertezze e controversie. La scoperta di un tesoro così vasto non solo solleva interrogativi economici, ma mette anche in evidenza la fragilità dei nostri oceani e la necessità di proteggere questi ecosistemi unici per le generazioni future.