Il calcio è un fenomeno capace di unire milioni di persone ma anche di generare tensioni quando si intreccia con questioni sociali e politiche. Oggi più che mai il rapporto tra sport e politica emerge come tema centrale, specie quando si parla di proteste contro ingiustizie o delle prese di posizione di squadre e atleti. Le recenti vicende legate alla Juventus e alla visita di Donald Trump hanno acceso un dibattito che coinvolge temi delicati come razzismo, diritti delle donne e libertà di espressione nel mondo sportivo.
La negazione politica nel calcio: un mito superato
Ripetere che “il calcio non deve essere politico” sembra ormai una frase fuori dal tempo. Lo sport, specie in nazioni dove rappresenta un fattore economico e culturale di grande peso, è inevitabilmente attraversato da questioni politiche. In un paese dove molte risorse pubbliche sono coinvolte nello sport, negare questo legame diventa semplicemente ipocrita. Gli stadi non sono solo luoghi di gioco ma spazi dove si riflette l’identità sociale di un popolo, con tutte le tensioni e le speranze che questo comporta.
Ogni gesto simbolico in campo, dalla fascia arcobaleno contro l’omofobia al inginocchiarsi contro il razzismo, veicola messaggi politici forti. Non si tratta solo di calcio o sport, ma di affrontare problemi reali presenti nella società. Quando si tenta di isolare lo sport dalle dinamiche politiche, si rischia di oscurare un pezzo importante di realtà. Lo sappiamo: chi detiene il potere spesso vorrebbe mantenere la calma, evitando che eventi sportivi diventino terreno di denuncia o rivendicazione.
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La presenza della Juventus con Donald Trump tra imbarazzi e polemiche
La recente apparizione della Juventus dietro Donald Trump è diventata un simbolo di un calcio messo in scena come strumento politico. Nel marzo 2025, durante una visita di Trump in Italia, la squadra juventina ha preso parte a un evento che è apparso come un tentativo di utilizzare il calcio a fini di propaganda. I giocatori stessi, tra cui Tim Weah, hanno mostrato disagio e distanza dalla situazione, confermando che quella presenza non fosse voluta o condivisa a pieno.
La cornice si è tinta di disagio non solo per il contesto politico ma anche per il messaggio implicito che si è voluto trasmettere, specie nei confronti del calcio femminile e del ruolo delle donne nello sport. Il presidente Usa, noto per odiose posizioni misogine e omofobe, ha sfruttato la Juventus women campione d’Italia per battute che hanno suscitato reazioni di critica e sconcerto. Un episodio che ha richiamato l’attenzione sulle dinamiche che spesso vincolano i giocatori a giochi più grandi di loro, alienandoli dalla dimensione sportiva.
Il caso megan rapinoe e la rilevanza delle scelte di protesta femminili
Dal 2019 la crociata social contro Megan Rapinoe ha rappresentato una delle pagine più forti delle tensioni tra politica e sport. Rapinoe, simbolo della nazionale statunitense femminile, ha mai nascosto le sue posizioni contro un certo tipo di America che Trump ha rappresentato. L’atleta ha espresso chiaramente il suo rifiuto di partecipare a visite istituzionali come quella alla Casa Bianca, facendo capire che la sua presenza non sarebbe stata una semplice formalità ma un atto politico.
Anche la sua squadra, la USWNT, si è opposta a gesti di questo tipo, sottolineando la necessità di mantenere una coerenza di valori. La scelta di non presentarsi alla Casa Bianca in caso di vittoria mondiale ha illustrato come il rifiuto di certi simboli possa essere un modo per affermare diritti e rivendicazioni. Protestare nelle arene sportive diventa quindi un mezzo per mettere in luce tensioni che vanno oltre il campo, toccando questioni di uguaglianza, diritti civili e libertà.
La doppia morale del calcio tra bandiere, diritti e proteste tollerate a metà
Tra i tanti paradossi del rapporto tra sport e politica c’è l’idea che certe manifestazioni vadano bene solo se in linea con interessi economici o politici favorevoli. Mostrare la propria identità, esporre simboli come la bandiera di un paese o indossare una fascia arcobaleno continua a generare polemiche e a far nascere discussioni forti. A volte i giocatori rischiano sanzioni o ostracismi solo per aver preso una posizione pubblica.
Chi governa o controlla certe scene preferisce mantenere una “politica dello spettacolo” che fomenti interesse senza approfondire i problemi reali. Non è infatti raro che proteste contro discriminazioni vengano soffocate o trattate come “problemi da evitare” invece di essere accolte come richieste di rispetto e diritti. Questo tratto doppio della politica nel calcio mette in risalto una questione più ampia: sono tollerate solo le proteste che non disturbano lo status quo.
Il dibattito attuale pone quindi una domanda concreta sul valore della democrazia e della libertà di espressione nello sport. Nello sport, come nella società, la politica c’è già, si manifesta in ogni gesto e in ogni parola. Rifiutarla o negarla non elimina la realtà, ma rischia di nasconderla sotto il tappeto. Di fronte a episodi che intrecciano potere, diritti, e sport, non si può ignorare che la politica ci sia, e spesso sia il vero campo di gioco.