Donald trump ha cominciato la sua avventura politica il 16 giugno 2015, con un evento discusso e poco preso sul serio. Quel giorno, la discesa dalla scala mobile dorata della Trump Tower ha segnato l’inizio di una candidatura che avrebbe rivoluzionato la politica americana. Per capire la portata di quel momento, bisogna però guardare ai decenni precedenti, soprattutto agli anni Novanta, quando si sono gettate le basi del suo successo.
Il lancio della candidatura: tra imbarazzo e spettacolo a manhattan
Quel 16 giugno 2015, Trump apparve nella Trump Tower di New York con un passaggio drammatico dalla scala mobile placcata d’oro. Accolto da una folla molto meno numerosa di quella da lui annunciata – circa un centinaio di persone, alcune pagate come comparse – quello che sembrava un evento minore attrasse l’attenzione di pochi media importanti. Gran parte della stampa inviò stagisti o reporter per la cronaca di costume e spettacolo, più interessati al personaggio televisivo di “The Apprentice” che al politico.
Le prime parole di Trump sottolinearono una presunta grande partecipazione, definendo “migliaia” i presenti, una cifra ben lontana dalla realtà. Quel lancio appariva più uno show che una vera sfida politica, e i giornali storsero il naso, definendo la candidatura improbabile e destinata a esaurirsi rapidamente. Trump ostentava la sua ricchezza, indicando un patrimonio di 8,7 miliardi di dollari, dato più volte smentito da successive indagini, che evidenziavano invece una situazione finanziaria precaria. Il pomeriggio si aprì con lo slogan “Make America Great Again” e un discorso infarcito di attacchi soprattutto nei confronti della Cina e del Messico, con la proposta controversa del muro al confine sud.
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Le radici nel decennio precedente: come gli anni Novanta hanno plasmato trump
Per comprendere le motivazioni dietro la decisione di Trump di entrare in politica, occorre tornare agli anni che seguirono la crisi economica del 1991. Trump, allora al culmine della sua fama come magnate immobiliare e autore del libro di successo “The Art of the Deal”, vide il suo impero sgretolarsi sotto il peso di debiti e fallimenti. Casinò, yacht, alberghi, come il Taj Mahal, finirono in crisi. Proprio in quegli anni, davanti al Congresso nel 1991, Trump avvertì che l’America attraversava una dura recessione, minacciata da una concorrenza sleale globale.
Questo periodo di difficoltà consolidò in lui una visione pessimista della situazione americana, che influì fortemente sul suo modo di vedere politica e strategie economiche. Il sovranismo economico, espresso dalla richiesta di dazi e protezionismo commerciale, inizia proprio qui, ben prima che queste tematiche diventassero centrali nell’agenda MAGA. È in quel contesto che figure come Pat Buchanan, con la sua campagna “America First” e posizioni populiste e anti-immigrazione, cominciarono a emergere nel dibattito politico americano. Buchanan, insieme ad altri come David Duke e Ross Perot, incarnava il malcontento di una parte dell’elettorato, molto vicino alle future posizioni di Trump.
L’evoluzione della scena politica e il ruolo di trump tra gli anni Novanta e i Duemila
Nei successivi anni sotto le presidenze di Clinton, il secondo Bush e Obama, Trump rimase sempre nel radar pubblico, partecipando solo saltuariamente e con interventi sporadici. Durante questo periodo il populismo che lo aveva ispirato sembrava attenuarsi. Movimenti come quello del Tea Party spostavano l’attenzione su temi conservatori ma senza riuscire a imporre una leadership forte. Trump, ormai noto nel mondo dello spettacolo, non abbandonò però mai del tutto quelle idee.
Negli anni Duemila, il magnate non si candidò formalmente, anche se nel 1999 provò a sfruttare il Reform Party fondato da Perot, cambiando rotta quando altri esponenti del movimento decisero di competere nello stesso partito. Nel mentre, la politica americana mostrava una certa frammentazione, specialmente a destra. Il partito repubblicano usciva da due elezioni perse contro Obama e cercava una nuova guida. Trump, osservando da vicino questo scenario, capì che una candidatura forte avrebbe potuto convincere una base elettorale insoddisfatta.
La strategia vincente del 2015: come trump ha conquistato il partito repubblicano
Quando Trump annunciò la candidataura, i commenti della stampa davano per scontato un passo falso. I repubblicani erano divisi e alla ricerca di un leader dopo le sconfitte recenti. Il movimento del Tea Party aveva già introdotto temi populisti, creando l’atmosfera ideale per una figura come Trump. La sua discesa dalla scala mobile dorata simboleggiava un ingresso spettacolare in un mondo politico complesso.
La sua campagna si fondò proprio sull’attivazione di quel malcontento sociale che sembrava ignorato dai candidati tradizionali. Parlò a una base elettorale che si sentiva esclusa dalle élite politiche, proponendo una rottura con la linea del partito e una sfida ai tradizionali equilibri. I candidati repubblicani, divisi tra loro, non riuscirono a arginare la sua ascesa. Dall’altra parte, i democratici sceglievano Hillary Clinton, la quale tuttavia si mostrò impreparata nel fronteggiare lo stile e il messaggio di Trump, contribuendo a creare una partita difficile per il partito avversario.
Il discorso alla trump tower: una nuova grammatica politica è nata
Il discorso di Trump nell’atrio della Trump Tower, lungo e spesso sconnesso, contenne già molte delle caratteristiche che avrebbero definito la sua presidenza. Parole cariche di rabbia, toni duri e attacchi diretti a realtà esterne come la Cina e il Messico segnavano una rottura rispetto allo stile istituzionale classico. Quelle dichiarazioni, ritenute scioccanti dalla stampa, aprirono la strada a un modo di fare politica senza filtri e senza particolare riguardo per la verità dei fatti, che si sarebbe consolidato nei mesi e negli anni seguenti.
Da quel momento iniziò un crescendo che portò Trump dal ruolo di trovata mediatica a protagonista della politica mondiale, dando vita al fenomeno MAGA e trasformando profondamente la scena americana e globale. Quel 16 giugno segna un cambio di paradigma nella comunicazione politica, iniziato in un palazzo di Manhattan e arrivato a scuotere equilibri consolidati da decenni.