Le difficoltà nel raggiungere il 5% del pil per la difesa dopo il vertice nato all’aia

Le difficoltà nel raggiungere il 5% del pil per la difesa dopo il vertice nato all’aia

Il vertice Nato all’Aia evidenzia divisioni tra i 27 stati dell’Unione europea su spese militari, vincoli di bilancio e politica estera, con tensioni su energia, Ucraina e rapporti con Stati Uniti e Israele.
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Il vertice Nato all’Aia ha fissato l’obiettivo di portare la spesa militare al 5% del PIL, ma l’Unione europea è divisa tra vincoli fiscali, tensioni interne e pressioni Usa, complicando cooperazione e politica estera. - Gaeta.it

Il recente vertice della Nato all’Aia ha fissato l’obiettivo per i paesi membri di portare le spese per la difesa al 5 per cento del pil. Un punto cruciale per la sicurezza europea, ma che si scontra fin da subito con ostacoli politici e finanziari complessi, soprattutto tra i 27 stati dell’Unione europea. Il summit ha messo in luce le tensioni tra ambizioni militari e limiti fiscali, con l’Italia e altri paesi che chiedono più flessibilità mentre emergono resistenze da parte degli stati più rigorosi. Queste dinamiche si riflettono anche nei negoziati commerciali con gli Stati Uniti e nelle divisioni sulla politica estera europea.

La sfida dei vincoli di bilancio per aumentare la spesa militare

La richiesta di Giorgia Meloni di rivedere le regole del Patto di stabilità per consentire più margine ai paesi con meno spazio fiscale, come l’Italia, rimane in gran parte inascoltata. Al consiglio europeo, dopo il summit Nato, la proposta di adottare strumenti finanziari nuovi, oltre ai 150 miliardi di prestiti di Safe e al Rearm di von der Leyen, ha trovato un muro di opposizione soprattutto da parte dei cosiddetti paesi frugali, tra cui Paesi Bassi e Germania. Fonte di tensione è il timore che i parlamenti nazionali, come quello olandese, difficilmente giustificherebbero spese maggiori per altri stati europei.

Ostacoli alla creazione di un fondo comune

Questo clima ostacola la creazione di un fondo comune dedicato alla difesa europeo. Ursula von der Leyen ha accettato di indagare sulla possibilità di escludere gli investimenti militari dalla procedura per deficit eccessivo, ma l’idea di un “Next Generation Eu” per la difesa resta lontana. La Germania, rappresentata anche dal ministro Merz, si mostra poco incline a concedere deroghe fiscali che potrebbero aiutare paesi con debiti elevati a finanziare la crescita delle spese militari. La questione è rinviata a ottobre, quando si valuteranno i progressi e si discuterà una tabella di marcia per migliorare la prontezza difensiva.

Divisioni interne all’unione europea: dai paesi dell’est alle polemiche energetiche

La misura del sostegno alla difesa varia molto tra gli stati. Paesi come Polonia, i Baltici e gli scandinavi sono più favorevoli a incrementi di spesa considerati necessari per fronteggiare la minaccia russa, percepita come una questione immediata di sicurezza nazionale. Al contrario, paesi come la Slovacchia si mostrano più restii: il premier Robert Fico ha bloccato il voto sul 18esimo pacchetto di sanzioni alla Russia, motivando la sua posizione con la necessità di un risarcimento per il gas che passa sul territorio slovacco.

Legami tra energia e politica estera

Il dossier energetico si lega infatti alla politica estera e economica. La Slovacchia teme di perdere le royalty derivanti dal transito dei combustibili e, per questo, ha chiesto uno slittamento nella decisione europea sulle sanzioni. Parallelamente, il premier ungherese Viktor Orbàn continua a ostacolare l’avvicinamento dell’Ucraina alla Ue e alla Nato, pur non opponendosi al rinnovo di misure contro la Russia. Questo scenario rivela come, oltre alle differenze sulle spese militari, emergano contrasti legati a questioni energetiche, di sovranità e alle condizioni geopolitiche.

Il ruolo degli stati uniti e la pressione sui paesi europei

Il summit Nato ha confermato il peso degli Usa nelle scelte europee, anche attraverso dinamiche che complicano ulteriormente gli accordi interni. Il presidente Joe Biden ha lanciato segnali contrastanti dopo il vertice, aumentando l’incertezza sui negoziati commerciali in vista della scadenza del 9 luglio. In particolare, la minaccia di Donald Trump di imporre dazi raddoppiati alla Spagna, per aver contestato l’obiettivo del 5 per cento del pil per la difesa, ha agitato i governi europei. La divisione su questo punto rischia di indebolire un fronte che finora si era mantenuto compatto nelle trattative con Washington.

Tensioni commerciali e strategie europee

Le autorità europee sperano che gli altri stati sostengano Madrid, evitando così che tensioni commerciali creino spaccature politiche. Intanto, tra Francia, Germania e Italia si fa largo uno scontro su come gestire le contromisure doganali, con Parigi meno propensa a cancellare dazi adottati in precedenza rispetto agli altri due paesi, più orientati a chiudere l’accordo rapidamente. Anche se Washington ha lasciato aperta la possibilità di posticipare la scadenza, i negoziati restano complicati.

Le tensioni sulla politica estera: israele, ucraina e gaza divisi tra giustizia e interesse

Le divisioni europee si riflettono sulle scelte di politica estera. Il rapporto presentato dall’alto rappresentante Kaja Kallas sul rispetto da parte di Israele dell’articolo 2 dell’accordo di associazione con l’Ue mette in discussione il legame commerciale a causa delle violazioni dei diritti umani a Gaza. Non c’è però unanimità: paesi come Italia e Germania si oppongono alla sospensione, mentre la Spagna guida il fronte che chiede un intervento immediato. La decisione finale del Consiglio europeo rinvia ogni azione al luglio 2025, dando solo mandato a ulteriori colloqui con Tel Aviv.

Ucraina e lenti progressi verso l’europa

Sul fronte ucraino, la guerra e i progressi dell’Ucraina verso l’adesione alla Ue sono sempre più soggetti a rallentamenti. Il premier Orbàn blocca l’integrazione nei due principali organismi occidentali, mentre da Bruxelles si ammette la difficoltà a mantenere Kiev tra le priorità. Al vertice Nato, Zelensky ha partecipato solo in videoconferenza, segnale di una distanza crescente tra l’Unione europea e il governo di Kiev in un momento delicato della guerra.

Questi elementi mostrano una Ue ancora divisa e forse fragilizzata dietro i grandi obiettivi strategici che aveva individuato per rafforzare la propria posizione globale. La gestione delle spese militari, delle relazioni con gli Stati Uniti e della politica internazionale sembra in bilico, con un equilibrio precario tra interessi contrastanti.

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