A un anno dalla morte di Satnam Singh, il lavoro nero torna a crescere nell’Agro Pontino. I controlli si aggirano con contratti falsi, paghe da 4 euro l’ora e documenti irregolari.
Nelle campagne dell’Agro Pontino, a sudest di Roma, il lavoro nero continua a prosperare nonostante la tragedia che nel giugno 2024 scosse l’opinione pubblica: la morte di Satnam Singh, il bracciante indiano mutilato sul lavoro e abbandonato agonizzante dal suo datore. A un anno di distanza, i controlli sono diminuiti, ma non il fenomeno dello sfruttamento agricolo, che oggi si presenta sotto forme più evolute e difficili da intercettare.
Il 12 giugno 2025, dieci braccianti del Punjab sono stati trovati al lavoro in un terreno di Sermoneta: solo uno aveva un contratto, e nemmeno con l’azienda presente sul posto. Gli altri, tutti in nero, avevano documenti falsi, anche se erano arrivati in Italia legalmente con il decreto Flussi. Solo l’intervento della sindacalista Laura Hardeep Kaur ha evitato l’immediato trasferimento nei CPR, facendo valere il protocollo contro il caporalato firmato a Latina dopo il caso Singh.
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Come racconta Kaur, oggi lo sfruttamento non si manifesta solo con braccianti invisibili, ma anche attraverso contratti regolari solo sulla carta. «Molti lavoratori ricevono una busta paga da pochi giorni al mese, ma lavorano 10 o 14 ore al giorno, sette giorni su sette», denuncia. In caso di ispezione, risultano perfettamente assunti. Un lavoratore indiano di Roccagorga mostra la sua busta paga: 325 euro per 5 giorni di lavoro. Ma ne lavora almeno 30.
Quello che i sindacalisti chiamano “lavoro grigio” è sempre più diffuso. Paghe medie attuali? Tra i 4 e i 5 euro l’ora, in contanti, spesso senza riposo e senza assicurazione. Il meccanismo è stato perfezionato: i caporali non reclutano più nei Centri di accoglienza, ma direttamente in India, facendo pagare fino a 10.000 euro per il viaggio, il visto e la promessa di un contratto. Il risultato? Lavoratori indebitati, ricattabili, senza permesso e senza possibilità di tornare a casa.
Nel primo mese dopo la morte di Singh si erano registrate oltre 7.300 assunzioni regolari, quasi il doppio rispetto all’anno precedente. Ma il dato era effimero. Le aziende hanno presto ripreso a impiegare manodopera in nero. I pulmini dei caporali sono scomparsi, ma il sistema è rimasto intatto: si lavora meno visibilmente, ma con sistemi contabili studiati da professionisti, come racconta il sociologo Marco Omizzolo.
L’azienda Agrilovato, dove Singh lavorava con la compagna Soni, è oggi al centro di un processo per omicidio volontario e caporalato. Soni ha testimoniato che Singh fu buttato giù dal furgone dopo l’incidente, col braccio mozzato in una cassetta. I cellulari dei due sparirono. L’imprenditore Antonello Lovato ha annunciato un risarcimento alla famiglia, ma è sotto accusa anche in un’indagine parallela, insieme al padre, per aver fatto lavorare in nero altri 7 braccianti.