La pellicola “C’era una volta Gaza”, diretta dai fratelli palestinesi Arab e Tarzan Nasser, ha acceso il dibattito al Festival di Cannes 2025. Il film, candidato nella sezione Un Certain Regard, sfida le aspettative sui racconti dalla Striscia di Gaza. Con un tono che unisce ironia e realismo, il film offre uno sguardo inedito su una realtà complessa e spesso ridotta a stereotipi nei media internazionali. La nuova produzione mostra come la vita continua, nonostante le difficoltà politiche e sociali che affliggono la zona da decenni.
L’influenza dello spaghetti western nella narrazione di c’era una volta gaza
Il titolo e lo stile di “C’era una volta Gaza” mostrano un richiamo evidente alle atmosfere degli spaghetti western e ai registi Sergio Leone e Quentin Tarantino. La storia utilizza un linguaggio cinematografico che spesso si vede nei classici del genere, inserendo un’ironia tagliente e personaggi intensi. Ambientato nella Striscia di Gaza nel 2007, il film segue la vita di due ragazzi con sogni e limiti precisi. Yahya, un giovane studente fragile e malinconico, si trova coinvolto in piccoli traffici di stupefacenti, mascherati dalla vendita di falafel, su pressione del suo amico e leader carismatico Osama.
Elementi del racconto e ambientazione
La trama fa spesso pensare a “Il Buono, il Brutto, il Cattivo”, ma con un setting che riflette una dura realtà contemporanea. I protagonisti si muovono in un contesto di difficoltà quotidiane, tra guerre, blocchi e corruzione. La narrazione non idealizza la vita nella zona, ma punta a raccontare la resilienza e le scelte complicate che i giovani devono affrontare. La figura del poliziotto corrotto che entra in gioco complica ulteriormente il percorso dei personaggi, mettendo in luce un lato oscuro della società locale. Questo approccio rende la pellicola distante da un semplice racconto di resistenza politica, per abbracciare anche aspetti umani e sociali intensi.
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La sfida di fare cinema a gaza e il percorso dei fratelli nasser
Arab e Tarzan Nasser sono nati nel 1988 e si sono avvicinati al cinema senza formazione accademica formale, spinti da una forte passione per l’arte e la moda. La loro esperienza racconta una realtà dove ogni elemento visivo viene costruito con grande cura, spesso utilizzando risorse limitate. Per far fronte al difficile contesto palestinese, i due ricorrono a strategie di rinforzo reciproco e all’osservazione di centinaia di film per affinare il proprio stile.
Sviluppo e momenti cruciali della produzione
Il film “C’era una volta Gaza” ha avuto una gestazione lunga: le idee iniziarono a prendere forma nel 2015, due anni dopo la loro presenza a Cannes con il cortometraggio “Comdom Lead”. Dopo il massacro del 7 ottobre 2023 e le tensioni successive, i fratelli hanno sospeso momentaneamente il lavoro per seguire da vicino la situazione via telefonate e video. Nel 2024 hanno ripreso la sceneggiatura, convinti che fosse importante terminare la storia per testimoniare la ripetizione di eventi drammatici e la resilienza di una popolazione che cerca di andare avanti nonostante tutto.
In passato hanno diretto altri film significativi, come il lungometraggio “Degradé”, proiettato a Cannes nel 2015, e “Gaza mon Amour” presentato a Venezia nel 2020. La loro carriera si contraddistingue per una continua attenzione ai particolari e uno spirito di sopravvivenza artistica in un contesto dove finanziare un progetto è complesso.
Il messaggio politico e umano dietro la visione di gaza
La narrazione di “C’era una volta Gaza” si muove su due livelli: quello della denuncia e quello della speranza. I registi sottolineano che, pur vivendo un contesto di violenza, chiusure e privazioni, l’elemento umano riesce a imporsi. Ogni personaggio manifesta la volontà di resistere e trovare significato nella propria esistenza, anche quando gli orizzonti sembrano chiusi a ogni sogno.
I Nasser evitano di rendere esplicita una propaganda politica, ma riflettono la condizione di un territorio dove la vita quotidiana è costantemente condizionata dalle dinamiche di potere, guerre e ingiustizie. Gaza, raccontano, “non esiste più” nel senso tradizionale, ma la gente resta viva e cerca modi alternativi per sopravvivere e costruire un futuro.
La decisione di andare avanti con il film dopo eventi tragici testimonia la volontà di dare voce a una storia che si ripete, fatta di sopravvivenza e di una difficoltà di scelta quasi imposta. Il lavoro riflette anche un desiderio di ridare dignità a una città, troppo spesso vista soltanto come scenario di conflitti.
Il festival di cannes e la celebrazione della cinematografia palestinese
La proiezione del film ha suscitato grande interesse sulla Croisette, confermando la vitalità del cinema palestinese. I fratelli Nasser sono ormai riconosciuti a livello internazionale e guardati con attenzione dai festival più importanti per il loro modo di raccontare storie radicate nel territorio.
Iniziative e simboli durante il festival
Domani è prevista una festa nel padiglione palestinese al Marché du Film, occasione per celebrare la comunità dei cineasti locali. Un enorme papavero rosso campeggia nel padiglione, simbolo di vita e speranza per un popolo che continua a raccontarsi nonostante le difficoltà.
Il futuro per Arab e Tarzan è già tracciato: una nuova storia, che vedrà protagoniste tre donne, per raccontare altri aspetti di quella città complessa e delle sfide quotidiane. La strada per il cinema palestinese resta, però, irta di ostacoli economici e logistici che richiedono pazienza e collaborazione, ma la voglia di raccontare storie rimane vivace e concreta.