Arresto a Torino riporta all’attenzione il rischio radicalizzazione jihadista nelle carceri italiane

Arresto A Torino Riporta All27A

Arresto a Torino evidenzia il pericolo di radicalizzazione jihadista in carcere. - Gaeta.it

Donatella Ercolano

16 Settembre 2025

Un recente arresto a Torino di un cittadino tunisino accusato di legami con un’organizzazione terroristica jihadista ha riportato in primo piano le preoccupazioni relative alla diffusione di ideologie estremiste all’interno delle prigioni italiane. Il fenomeno interessa in modo particolare alcune regioni, dove la presenza di detenuti musulmani è particolarmente significativa, e solleva questioni legate alla sicurezza e alla gestione degli istituti penitenziari.

L’arresto di un cittadino tunisino a Torino riaccende il dibattito sulla radicalizzazione negli istituti penitenziari

Il fermo di un detenuto di nazionalità tunisina a Torino, accusato di partecipazione in un’organizzazione jihadista, ha messo nuovamente sotto i riflettori il problema della radicalizzazione islamica nelle carceri italiane. Questo arresto arriva dopo poco tempo dall’espulsione dell’imam del carcere di Alessandria, Bouchta El Allam, condannato per propaganda e istigazione all’odio etnico e religioso.

L’episodio torinese si inserisce quindi in una serie di eventi che mostrano come le carceri possano diventare un terreno di reclutamento per gruppi estremisti. Secondo Aldo Di Giacomo, segretario del sindacato di polizia penitenziaria F.S.A.-C.N.P.P.-S.PP., questi avvenimenti segnalano un pericolo da non sottovalutare e richiedono una gestione più attenta e mirata.

Inoltre, la presenza di detenuti musulmani in alcune carceri di Piemonte, Lombardia e Lazio raggiunge quote alte, in alcuni casi fino al 60% della popolazione detenuta. Complessivamente, in tutta Italia sarebbero circa 10 mila i reclusi di fede islamica, anche se molti non dichiarano apertamente la loro religione per timori legati a possibili ripercussioni.

La crescita dei detenuti musulmani e le difficoltà nella gestione della radicalizzazione

Il dato della forte presenza di detenuti musulmani in alcune regioni italiane mette in evidenza come le carceri si trovino a dover gestire realtà molto complesse. Le statistiche indicate da Di Giacomo rivelano che in certe strutture oltre la metà dei detenuti professano la fede islamica. Questo crea, secondo il sindacato, situazioni che possono facilitare il diffusione di ideologie estremiste e il reclutamento di nuovi adepti da parte di gruppi radicali.

Alcune carceri italiane si ritrovano quindi a dover affrontare una popolazione eterogenea, con dinamiche interne che variano molto in base alla composizione religiosa e culturale. Il fenomeno della radicalizzazione, in presenza di masse importanti di detenuti insieme, rischia di intensificarsi se non vengono adottati interventi specifici.

Secondo il sindacalista, la classificazione attuale dei detenuti in categorie come “segnalati”, “attenzionati” e “monitorati” non è più adeguata per contenere un problema che evolve e si complica. Serve un approccio più puntuale, che distingua chiaramente la pratica religiosa legittima dal segnale di adesione a ideologie violente.

La formazione del personale penitenziario tra sfide e necessità

Un punto centrale nella gestione del rischio radicalizzazione riguarda la preparazione degli agenti penitenziari. Di Giacomo sostiene che occorrono programmi di formazione specifici capaci di aiutare il personale a riconoscere quando si tratta di una preghiera o di una forma di culto e quando invece si manifestano segnali di estremismo pericoloso.

Questa distinzione è fondamentale perché le carceri, come sottolineato dal sindacalista, funzionano spesso come luoghi in cui si costruiscono legami solidi tra detenuti. Tali relazioni possono trasformarsi in appartenenze a gruppi terroristici o gang criminali dopo la scarcerazione. Non è raro che dietro l’apparente osservanza religiosa vi siano strategie di reclutamento, simili a quelle adottate dai clan mafiosi per assicurarsi nuovi affiliati.

La mancanza di un’adeguata formazione risulta quindi un ostacolo importante nella capacità degli agenti di prevenire la diffusione di ideologie estremiste. Senza strumenti e conoscenze specifiche, diventa molto difficile intervenire tempestivamente o individuare segnali nascosti di radicalizzazione.

Carenza di personale e aumento degli episodi di violenza negli istituti con alta presenza di detenuti extracomunitari

Il problema della radicalizzazione si lega anche alla situazione di carenza di polizia penitenziaria. Il sindacato segnala che in molti istituti con numerosi detenuti stranieri, in particolare di fede islamica, si verificano frequenti episodi di violenza contro gli agenti. Queste aggressioni spesso rimangono senza adeguati rinforzi al personale, aggravando ulteriormente il clima di instabilità.

L’assenza di risorse umane sufficienti penalizza il controllo interno delle carceri e rende più fragile la capacità di fermare comportamenti violenti o tentativi di propaganda estremista. Le strutture più esposte, nelle regioni con alta concentrazione di detenuti extracomunitari, soffrono così una pressione maggiore sotto il profilo della sicurezza.

Queste condizioni possono contribuire a creare un terreno favorevole alla diffusione di idee estremiste e al rafforzamento di gruppi interni che sfruttano la vulnerabilità della situazione per attirare nuovi seguaci. La mancanza di personale ben formato e presente in numero adeguato è un problema concreto che ha ripercussioni sull’ordine e sulla sicurezza dentro le carceri.

L’Allarme Di Copasir e la spinta alla formazione e al rafforzamento delle carceri

La questione del rischio terrorismo jihadista nelle carceri italiane non è emersa solo recentemente. Già almeno due anni fa il Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica aveva segnalato rischi legati al reclutamento all’interno degli istituti penitenziari. Tale avvertimento ha costituito un segnale d’allarme autorevole rispetto a una problematica che coinvolge la sicurezza nazionale.

Le tensioni accumulate, aggravate anche dal conflitto in Medio Oriente in corso nel 2025, contribuiscono a creare un clima di ostilità verso l’Occidente. Questo contesto alimenta le motivazioni di chi cerca di propagandare o reclutare all’interno delle carceri.

Aldo Di Giacomo invita a promuovere programmi mirati e risorse speciali per la formazione e il potenziamento strutturale delle carceri, al fine di contrastare il fenomeno. Il rischio di vedere emergere nuove generazioni di terroristi usciti dai nostri istituti esiste, afferma, se non si interviene cambiando passo. Il dibattito resta aperto e sotto osservazione, mentre le autorità sono chiamate ad agire in modo più deciso.