Un viaggio da Milano a Gerusalemme assume un peso diverso nel quadro di tensioni politiche e sociali che attraversano oggi l’Italia e il Medio Oriente. Dall’aereo che riporta a casa al rifugio sotto il lancio di missili, il racconto mette a fuoco episodi di antisemitismo a Milano e la complessa situazione in Israele, sfidando chi ignora ciò che accade lontano dai riflettori.
Il ritorno a gerusalemme: un volo carico di emozioni e tensioni
Il volo EL AL che atterra a Gerusalemme non è un viaggio qualunque. Talmente forte è stato il senso di ritorno, che il pilota ha annunciato ufficialmente ai passeggeri: “vi riportiamo a casa”. Questo gesto ha scatenato un applauso spontaneo fra chi era a bordo, forse perché molti percepivano quella tratta non come una semplice rotta aerea, ma come un passaggio fra due mondi segnati da violenze e paure.
Il contesto di questo volo è particolare: arriva dopo ancora una serie di minacce rivolte allo Stato di Israele, che invece si presenta solido e vivo nonostante tutto. Durante l’avvicinamento sulla costa, guardando fuori dal finestrino, i pensieri si aggrovigliano su ciò che si lascia indietro: Milano segnata da episodi violenti contro giovani ebrei e da manifesti anti-israeliani. L’autore sottolinea con chiarezza la differenza fra antisionismo e antisemitismo, affermando che alla base di certi gesti vi è un razzismo puro verso gli ebrei.
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I passeggeri scrutano il paesaggio che si avvicina con una certa apprensione, quasi cercando di aiutare il pilota a individuare segnali di pericolo. Quel volo, insomma, è carico di ansia, speranza e tensione per un popolo che torna dopo giorni in cui la propria identità appare minacciata.
Antisemitismo a milano: violenza e intolleranza sotto gli occhi di tutti
Milano emerge come teatro di episodi che confermano la crescita di un clima d’odio spesso mascherato da critiche politiche. Nel breve arco di pochi giorni, due ragazzi ebrei sono stati aggrediti e nella città sono comparsi manifesti che incitano contro gli israeliani, un segno dell’acuirsi della tensione sul fronte sociale.
Questi fatti non sono semplicemente espressione di antisionismo, ma prendono la forma di vero antisemitismo, spiegano gli eventi con nettezza. Quanto avviene conferma che un sentimento antico sta tornando a farsi vivo, scavalcando la linea sottile tra opinioni contro politiche di uno Stato e odio verso una comunità etnica e religiosa.
La narrazione dell’autore aggiunge un altro livello di complessità, raccontando di come in Italia sia stato detto che l’antisemitismo ha raggiunto punte mai viste negli ultimi anni. Viene contestata la retorica secondo cui Israele sarebbe divenuto carnefice, chiedendo agli ebrei della diaspora di dissociarsi dal proprio popolo, per evitare le ripercussioni di accuse ingiuste. Una prospettiva che l’autore rigetta con decisione, anche alla luce della storia d’Europa e del lungo percorso segnato dalla Shoah.
Il rifugio sotto attacco e la memoria della shoah che non cancella l’odio
Il ritorno a Gerusalemme si scontra subito con le tensioni sul territorio: appena arrivato, l’autore racconta che gli Houthi dello Yemen hanno lanciato un missile contro civili israeliani. È costretto quindi a rifugiarsi in una stanza protetta, un ambiente che con il tempo diventa un luogo per pensare e ripensare, lontano dal caos esterno ma carico di ricordi e riflessioni.
Questa stanza diventa il simbolo dell’attesa e di una vita messa in pausa dalla guerra. Lascia emergere quanto l’antisemitismo italiano sia profondamente radicato nella storia, un sentimento che si era nascosto dopo la tragedia della Shoah ma non è mai scomparso del tutto.
Nei decenni seguenti, l’immagine degli ebrei in Europa era cambiata: apparivano come parte della cultura, apprezzati per il contributo alle arti e alla società, ma soprattutto erano ricordati nelle cerimonie della memoria, che celebravano chi era stato vittima della guerra e dell’odio.
Il 7 ottobre, con l’attacco rivolto allo Stato di Israele, questo equilibrio si è rotto. Le reazioni dal mondo e la guerra hanno riportato in auge accuse contro Israele, accompagnate da descrizioni estremamente dure contro il suo governo e il suo esercito. La narrativa si carica di parole come genocidio, crimini di guerra, dove Israele diventa il carnefice e i palestinesi le vittime assolute.
Dopo poco, questa campagna di odio trasforma gli ebrei in colpevoli anche al di fuori di Israele, annullando il peso della storia della Shoah e spalancando le porte a un antisemitismo che torna ad avanzare senza filtri.
Riflessioni e contraddizioni fra memorie, odio e politica internazionale
La permanenza nel rifugio mette l’autore di fronte a nuove riflessioni. Ripensa ai bambini palestinesi cresciuti in mezzo alla guerra, che imparano l’odio fin dall’infanzia, e alla dura realtà quotidiana di chi vive accanto a depositi di armi o in presenza di tunnel sotterranei usati per attacchi. Vede come la situazione di guerra comprometta vite innocenti in entrambi i campi, segnata da un circolo vizioso di violenza.
Considera anche il ruolo dell’Iran che minaccia Israele a migliaia di chilometri di distanza e osserva con attenzione il comportamento dell’Onu e le narrazioni dei media internazionali, spesso divise e parziali.
Questi pensieri maturano in una stanza poco più che un rifugio, simbolo di un’isolamento imposto dalla violenza. Qui il ricordo della Shoah si mescola alla realtà del conflitto contemporaneo, mostrando come certe lezioni non si siano sufficientemente diffuse nella coscienza collettiva.
La difficile convivenza delle verità e la voce italiana nel dibattito
L’uscita dal rifugio porta l’autore a contatto con un’Italia che fatica a trovare una posizione netta. Si riferisce a un intervento mediatico di Alessandro Di Battista, che parte da toni duri e parole contro Israele e contro la sua rappresentanza storica. Questo tipo di dibattito, diventato sempre più acceso, rischia di alimentare ulteriormente fratture e malintesi.
L’autore si definisce fuori da certe accuse, rifiutando l’etichetta di assassino o colpevole, pur riconoscendo contraddizioni e difficoltà inevitabili in una guerra così complessa. Afferma di voler restare fuori dalla sua stanza rifugio, per continuare a vivere e a sostenere un ideale di civiltà contro ogni forma di barbarie.
Il racconto conferma come, anche nel 2025, il confronto su Israele, antisemitismo e conflitto israelo-palestinese rimanga uno dei temi più difficili e che le tensioni locali in Europa non possono più essere ignorate.