Da Roma arriva uno studio che coinvolge adolescenti e giovani adulti affetti da hiv sin dalla nascita, sottoposti a terapia antiretrovirale fin dai primi mesi. I risultati, pubblicati su Cell Reports Medicine, raccontano di un controllo quasi totale del virus, mantenuto in uno stato quasi inattivo anche dopo due decenni di trattamento continuo. La ricerca, frutto della collaborazione tra ospedale pediatrico Bambino Gesù, università di Roma Tor Vergata e Mit di Boston, apre nuove prospettive sulle modalità di gestione e possibile sospensione sicura della terapia in casi selezionati.
Il profilo della coorte leucohiv e la terapia precoce che ha cambiato il decorso dell’hiv
Il gruppo di pazienti coinvolti nello studio fa parte della coorte denominata Leukohiv, costituita da ragazzi che sono stati sottoposti a terapia antiretrovirale fin dalla prima infanzia, con un periodo medio di trattamento di circa 20 anni. Questa terapia precoce e continuativa ha permesso un controllo efficiente del virus, limitandone la replicazione e riducendo in modo significativo la quantità di virus presente nell’organismo. Il fatto che siano cresciuti con un quadro immunologico stabile rappresenta un elemento di rilievo, soprattutto per la gestione futura del loro percorso clinico.
Il trattamento iniziato tempestivamente ha evidentemente condizionato l’evoluzione dell’infezione, portando a una condizione definita tecnicamente “reservoir virale minimo”. Questa condizione indica che nel corpo dei pazienti vi è una quantità molto bassa di virus latente, la forma più difficile da eliminare e che rende necessario il proseguimento della terapia. Per questo motivo, l’identificazione di pazienti con caratteristiche immunologiche simili apre la strada a inedite strategie di sospensione terapeutica, da valutare però con attenzione e monitoraggio medico.
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Biomarcatori immunitari e processo di leucoferesi: la chiave per monitorare il virus
La ricerca si è concentrata su un’analisi approfondita del sistema immunitario, possibile grazie a una tecnica chiamata leucoferesi. Questo processo ha permesso di prelevare grandi quantità di linfociti in modo sicuro, offrendo un quadro dettagliato dell’attività dei linfociti nel controllare l’hiv. Il dato principale emerso è l’assenza quasi totale di provirus intatti, cioè di forme attive e capaci di replicarsi in modo autonomo, una scoperta che segna un passo avanti nel capire come alcune persone possono mantenere il virus sotto controllo naturale.
Un altro elemento importante riguarda le cellule natural killer , protagoniste dell’immunità innata. Nei pazienti analizzati, queste cellule risultano altamente funzionali anche dopo molti anni di terapia, evidenziando un meccanismo di difesa potenziato e persistente nel tempo. Questo tipo di risposta immunitaria sembra giocare un ruolo cruciale nella capacità di tenere a bada il virus senza che esso riprenda forza o si diffonda.
Il ruolo della terapia precoce nella limitazione del virus e nella sua localizzazione nel genoma
Gli specialisti sottolineano come la terapia iniziata in modo tempestivo abbia spinto il virus a una posizione di svantaggio. In alcuni pazienti, il virus residuo si localizza in aree del genoma umano considerate geneticamente inattive, dove il virus ha poche possibilità di replicare spontaneamente. Questa condizione riduce il rischio che l’infezione possa riaccendersi e diffondersi nel corpo.
Il trattamento precoce esercita pressione sul virus e lo spinge verso queste “zone silenti”. Questo fenomeno costituisce un meccanismo di controllo indiretto, ma molto efficace, che limita le possibili riprese dell’infezione. La scoperta dei meccanismi genetici in gioco tra virus e cellule è importante per sviluppare in futuro terapie che agiscano su specifiche aree del genoma, favorendo l’inattivazione definitiva del virus.
Prospettive future per la sospensione della terapia antiretrovirale in pazienti selezionati
Paolo Palma, responsabile di immunologia clinica al Bambino Gesù, evidenzia come al momento non esistano criteri chiari per interrompere in sicurezza la terapia in pazienti con hiv sotto controllo da anni. Lo studio fornisce però nuovi strumenti per identificare chi potrebbe beneficare di una sospensione monitorata e personalizzata, mettendo a disposizione dati e condizioni cliniche utili per valutazioni più consapevoli.
Nicola Cotugno dell’università di Roma Tor Vergata aggiunge che il trattamento molto precoce ha un impatto duraturo sulla capacità di controllo del virus, arrivando a mantenere il sistema immunitario in uno stato capace di gestire l’infezione anche senza il supporto continuo dei farmaci. Questo cambiamento fa ipotizzare che in futuro, in casi selezionati, sia possibile diminuire la dipendenza dalla terapia antiretrovirale, riducendo effetti collaterali e migliorando la qualità di vita.
Il ruolo dell’ospedale pediatrico bambino gesù nella gestione dell’hiv pediatrico
Il Bambino Gesù rappresenta un punto di riferimento nazionale per la cura dell’hiv in età pediatrica. Ogni anno vengono seguiti tra gli 80 e i 100 pazienti, per la maggior parte infettati per trasmissione verticale dalla madre. La terapia antiretrovirale garantisce loro una carica virale molto bassa e permette di vivere con una buona qualità di vita.
L’attenzione e l’esperienza raccolte in questo centro hanno permesso di condurre uno studio di lunga durata di grande rilievo, fondamentale per la ricerca su hiv e il suo controllo attraverso la terapia precoce e il monitoraggio immunologico. I dati emersi contribuiscono a migliorare la conoscenza dell’evoluzione del virus in chi è trattato sin dalla nascita, con ricadute concrete sulla gestione clinica a lungo termine.