Il primo film uscito nel 2018 aveva trovato un modo originale di mescolare la suspense del giallo con scene comiche quasi farsesche. A distanza di sette anni, il sequel arriva come un’esclusiva del catalogo Amazon Prime Video in Italia, riproponendo le protagoniste e il regista Paul Feig. Sebbene fosse atteso da tempo, il nuovo capitolo non riesce a mantenere la qualità del precedente, presentando una trama che si avvita su stereotipi e una rappresentazione dell’Italia lontana dalla realtà.
Il primo film: un equilibrio tra mistero e comicità che ha funzionato
Nel 2018 il film riuscì a creare una miscela insolita tra il genere giallo e un umorismo leggero, tenendo sempre il rischio della farsa al limite. Paul Feig, noto per il suo stile tipico di commedia americana, è riuscito a guidare la trama in modo che i due aspetti si bilanciassero senza scadere in eccessi. L’intesa tra le due protagoniste, Anna Kendrick e Blake Lively, era evidente e funzionava proprio perché le due attrici, molto diverse per immagine e stile, creavano un contrasto credibile e coinvolgente. La storia puntava su dinamiche di amicizia complicate e misteri da svelare, con una sceneggiatura basata su un romanzo stand-alone che forniva solide basi narrative.
L’ambientazione e la costruzione dei personaggi di fatto hanno aiutato il film a distinguersi nella categoria, mantenendo capacità di divertire senza perdere di vista gli sviluppi del giallo. La leggerezza usata come filtro ha reso le sequenze più drammatiche meno pesanti, e questo equilibrio ha trasformato quella che poteva diventare una commedia mal riuscita in un prodotto apprezzato per la sua originalità.
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La trama del sequel e il ritorno dei protagonisti a capri
Il nuovo film riprende la storia a distanza di cinque anni, con le due protagoniste sulla scena e Feig che torna a dirigere. Stephanie Smothers, interpretata da Anna Kendrick, è diventata una vlogger famosa per i casi true crime, quasi una detective improvvisata. Ha pubblicato un libro sulla sua complessa amicizia con Emily Nelson, ora uscita di prigione in attesa dell’appello. Nel corso di una presentazione, Emily, prossima alle nozze con Dante Versano, un italiano con legami mafiosi, sorprende Stephanie chiedendole di essere la sua damigella d’onore. Rifiutare significherebbe incorrere in minacce legali da parte di Emily, che vuole tenere il controllo sulla narrazione pubblica del loro passato.
La cerimonia si svolge a Capri, portando a galla persone del passato e tensioni crescenti. Stephanie si ritrova invischiata in un intrigo di omicidi che si susseguono tra invitati conosciuti e nuovi, mentre i sospetti si addensano intorno a lei stessa. La trama si dipana in una cornice italiana, ma spesso con riferimenti e cliché della mafia, degli intrighi familiari e di un’ambientazione locale utilizzata senza profondità né realismo.
Stereotipi e cliché: un’ambientazione italiana sfruttata in modo approssimativo
La scelta di ambientare il sequel a Capri avrebbe potuto dare un tocco originale e suggestivo alla pellicola. Invece, l’ambientazione si trasforma in una serie di stereotipi che sembrano usciti da un catalogo di visioni straniere scontate dell’Italia. La figura della mafia torna più volte nella narrazione, con presunte faide tra clan e un teatro di nozze con personaggi caricaturali. Famiglie criminali senza sfumature dominano la scena, mentre la polizia e le forze dell’ordine appaiono inefficienti e succubi, mentre l’FBI è ridotta a un ruolo poco credibile e spesso comico.
Il film cade in gag poco riuscite e in una sequenza di eventi che non riescono a coinvolgere come nella prima parte. Altri ospiti e parenti appaiono e scompaiono senza motivazioni solide, e i delitti si susseguono senza un ritmo narrativo convincente. Queste scelte riducono la capacità del film di tenere alto il mistero, facendo sembrare la vicenda un fastidioso accavallarsi di situazioni poco credibili piuttosto che un vero thriller.
La presenza di Elena Sofia Ricci nel ruolo di una capo-famiglia mafiosa spietata è uno degli elementi più segnalati come un evidente richiamo al cliché, senza un approfondimento del personaggio che lo renda originale o credibile. In definitiva, l’ambientazione nostrana, anziché valorizzare la storia, contribuisce alla perdita di spessore narrativa.
La chimica tra le protagoniste e la gestione del tono comico
Nonostante un contesto narrativo meno curato, l’intesa fra Anna Kendrick e Blake Lively si mantiene palpabile. Entrambe continuano a interpretare i loro ruoli con una certa efficacia, Kendrick soprattutto nel ruolo più comico e Lively in quello della femme fatale. Questi elementi risultano gli unici punti solidi nel film, anche se l’alchimia tra le protagoniste appare meno incisiva rispetto al primo film.
La volontà di mantenere un tono leggero e senza troppe pretese è evidente. Il film mostra più volte di non prendere troppo sul serio se stesso, e questa onestà contribuisce a mitigare le criticità della storia. Purtroppo, proprio la leggerezza diffusa finisce spesso per trasformare le situazioni più tese in siparietti disallineati che rallentano la progressione. La scelta di includere momenti farseschi o gag non sempre funziona perché il tono risulta dispersivo rispetto all’intreccio giallo.
Il risultato è una pellicola che perde forza narrativa e non dipana efficacemente il mistero. Mancano i momenti di vera tensione o di sorpresa che avevano caratterizzato l’originale. La sceneggiatura pare affaticata nel cercare spartire spazio tra elementi comici e thriller, finendo per indebolire entrambi.
Un sequel senza fondamenta letterarie e con un racconto forzato
A differenza del primo episodio, basato su un romanzo esistente che forniva una struttura chiara, questo sequel non ha un testo cartaceo cui riferirsi. La storia è stata scritta per estendere le vicende dei personaggi e aggiungere linee narrative nuove, ma questa scelta non ha creato una trama convincente. Si nota una certa forzatura nel portare avanti il racconto, con passaggi che appaiono poco naturali e dialoghi che stentano a sorprendere.
L’ambientazione italiana doveva essere un elemento di novità, ma si è trasformata in un limite, un modo poco riuscito di inserire nel contesto un mito antico come quello della mafia. Il risultato è una storia poco coerente, piuttosto prevedibile e priva di vera suspence. La lunghissima durata rende ancor più evidente il problema: due ore e più in cui si alternano situazioni tirate per le lunghe e sequenze ripetitive.
Il confronto con l’originale diventa inevitabilmente negativo. La forza del primo film stava in una scrittura più compatta, in personaggi più definiti e in un equilibrio narrativo che qui viene a mancare. Il progetto si rivela in questa seconda uscita meno efficace, destinato a deludere chi si aspettava un’evoluzione della storia e del tono.