nella striscia di Gaza la partita sugli aiuti umanitari si gioca sulla pelle dei civili ormai allo stremo

nella striscia di Gaza la partita sugli aiuti umanitari si gioca sulla pelle dei civili ormai allo stremo

La crisi umanitaria nella striscia di Gaza peggiora a causa del blocco israeliano, sospensione degli aiuti Onu e Unrwa, fallimenti della Gaza Humanitarian Foundation e tensioni tra Israele, Hamas e Autorità Nazionale Palestinese.
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La crisi umanitaria a Gaza si aggrava a causa del blocco israeliano sugli aiuti, sospesi per presunti abusi da parte di Hamas, mentre le organizzazioni internazionali faticano a garantire assistenza neutrale e efficace, lasciando la popolazione civile in condizioni disperate. - Gaeta.it

La situazione nella striscia di Gaza si fa sempre più critica a causa delle difficoltà legate alla distribuzione degli aiuti umanitari. La popolazione civile soffre per la scarsità di cibo e assistenza, aggravata dal blocco imposto da Israele e dal fermo delle attività dell’Onu e dell’Unrwa. Le tensioni politiche e militari complicano ulteriormente ogni possibilità di tregua, mentre i tentativi di approvvigionare la popolazione si scontrano con ostacoli e fallimenti.

Il blocco israeliano contro le organizzazioni internazionali

Israele ha giustificato il blocco e la sospensione delle attività di Unrwa e altre agenzie Onu con il presunto uso improprio degli aiuti da parte di Hamas, che secondo Tel Aviv sequestrerebbe e ripartirebbe le risorse alimentari per rafforzare la sua posizione politica e militare. La gestione degli aiuti è diventata così un nodo centrale nel conflitto, una questione che si muove tra esigenze umanitarie e strategie militari.

Questa decisione ha innescato una crisi umanitaria senza precedenti, con vaste zone della popolazione palestinese che rimangono senza rifornimenti di base. La mossa di Israele appare anche come strumento di pressione politica per indebolire Hamas e costringerlo alla resa, ma rischia di colpire duramente la popolazione civile, in particolare bambini e anziani, vittime della carestia e della malnutrizione.

Nel contesto internazionale, le critiche piovono sull’azione israeliana, ma la sostituzione delle organizzazioni internazionali con enti legati agli Stati Uniti e Israele ha creato una gestione degli aiuti umanitari discutibile e dai risultati limitati. La difficoltà sta nel coordinare interventi davvero neutrali e rispettosi delle esigenze della popolazione Gaza, senza interferenze militari e politiche.

La posizione di Hamas e dell’autorità palestinese nelle trattative di pace

Il conflitto tra Israele e Hamas continua ad alimentare la crisi. Le trattative si mantengono bloccate da interessi divergenti e contrapposti: Israele mantiene la linea di continuare le operazioni militari finché non otterrà la vittoria totale, compresa l’espulsione di gran parte della popolazione palestinese. Hamas resiste nonostante la fame e le condizioni disperate della popolazione locale.

Secondo diverse analisi, l’unica strada possibile per risolvere il conflitto passa per la completa dismissione del potere militare di Hamas e il ritorno del governo dell’Autorità Nazionale Palestinese a Gaza, come rappresentante legittimo del popolo palestinese. Solo così si potrebbe interrompere il ciclo di violenza e aprire un negoziato reale.

Paradossalmente, l’Anp oggi si trova in una posizione di opposizione sia verso Israele, che non vuole rilanciare gli accordi di Oslo o rinnovare l’idea di due stati, sia verso Hamas, che persegue la propria egemonia sull’Olp invece della creazione di uno Stato libero. Questo doppio isolamento rende più complesso qualsiasi tentativo di dialogo e stabilità nella regione, lasciando i civili di Gaza intrappolati in una crisi che continua a peggiorare senza soluzioni concrete.

Il progetto Ghf e il fallimento degli aiuti umanitari a gaza

Gli ultimi giorni hanno mostrato la difficoltà di gestire gli aiuti a Gaza attraverso la Gaza Humanitarian Foundation , nata da un accordo tra Stati Uniti e Israele per far fronte alla crisi alimentare causata dal blocco imposto dallo scorso marzo. La fondazione avrebbe dovuto fornire aiuti in modo indipendente, ma si è scontrata con problemi di operatività fin dall’inizio. Il blocco dell’ingresso degli aiuti umanitari concordato dal governo israeliano è una delle cause principali della gravità della situazione. Il governo di Tel Aviv infatti ha sospeso l’attività di Unrwa e delle agenzie Onu, accusando Hamas di sottrarre i carichi umanitari e usarli per consolidare il proprio controllo militare e politico sulla striscia.

La Ghf, a sua volta, non è riuscita a garantire un’efficace distribuzione dei viveri. Il presidente americano della fondazione, Jake Wood, ha lasciato l’incarico dopo pochi giorni, riferendo l’impossibilità di mantenere indipendenza e neutralità durante l’operazione. Nel frattempo, almeno cento palestinesi sono rimasti uccisi o feriti durante le operazioni di distribuzione, e negli ultimi due giorni i centri di rifornimento sono stati chiusi. Alcuni osservatori hanno denunciato la scelta di posizionare questi punti di distribuzione nel sud della striscia come un tentativo di spingere la popolazione del nord verso quella zona, in vista di una probabile espulsione forzata.

A peggiorare la situazione, anche il ritiro del Boston Consulting Group dal progetto di assistenza umanitaria dimostra la crescente inefficacia dell’operazione. La Ghf ha deciso di affidare la sicurezza dei punti di distribuzione a contractor militari israeliani, una scelta che crea forti tensioni e mette a rischio la sicurezza degli abitanti locali, già provati da mesi di blocco e conflitti.

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