Un ritrovamento eccezionale in Victoria mostra come i megaraptoridi dominavano la catena alimentare, ribaltando le teorie sull’ecosistema preistorico australiano
Un fossile emerso di recente nel sud-est dell’Australia sta riscrivendo le cronologie dell’evoluzione dei dinosauri carnivori. Rinvenuto nel Victoria da un’équipe del Museum Victoria Research Institute, il reperto appartiene al megaraptoride più antico mai identificato. Il dinosauro, vissuto circa 125 milioni di anni fa, si inserisce in un contesto faunistico sorprendente, in cui le dinamiche tra predatori risultano opposte rispetto a quelle conosciute in altri continenti. Il ritrovamento getta nuova luce sulla fauna del Gondwana, il supercontinente meridionale, e suggerisce collegamenti evolutivi inediti tra Australia, Sud America e Antartide.
La scoperta nel Victoria cambia le gerarchie del Cretaceo
Il fossile è stato analizzato dal team guidato dal dottorando Jake Kotevski, che ha messo in evidenza l’unicità del contesto australiano. I resti rinvenuti mostrano che questi megaraptoridi, dotati di artigli affilati e corporature snelle, erano i predatori dominanti, a differenza di quanto accadeva, per esempio, nel Sud America, dove i carcarodontosauri raggiungevano dimensioni imponenti, superando i 12 metri. Qui, invece, la situazione si ribalta: i carcarodontosauri australiani risultano più piccoli e probabilmente in posizione subordinata nella catena alimentare.
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Questa differenza non è solo quantitativa. Cambia l’intero assetto ecologico: la convivenza tra due gruppi di grandi carnivori suggerisce un ambiente ricco di prede, ma anche un equilibrio complesso tra specie concorrenti. Il fossile, rinvenuto in un’area già nota per precedenti scoperte, mostra tratti morfologici simili a quelli di esemplari sudamericani, ma più antichi, il che potrebbe indicare un’origine australiana di alcune linee evolutive ritenute finora esclusive del continente opposto.
L’analisi stratigrafica del sito ha permesso di collocare il reperto nel Cretaceo inferiore, una fase cruciale per la differenziazione dei grandi predatori. I paleontologi del Museum Victoria ritengono che questo ritrovamento costringa a rivedere l’albero genealogico dei teropodi e i flussi migratori che hanno portato determinate specie a colonizzare nuove aree attraverso ponti continentali temporanei.
Il legame tra Australia, Antartide e Sud America
L’ipotesi più interessante emersa dallo studio riguarda un possibile collegamento fisico tra Australia e Sud America attraverso l’Antartide durante il Cretaceo inferiore. Secondo il dottor Tom Rich, coinvolto direttamente nella ricerca, la disposizione geografica dei continenti all’epoca permetteva spostamenti graduali delle specie attraverso territori oggi irriconoscibili. I fossili analizzati mostrano somiglianze strutturali con quelli sudamericani, ma sono precedenti in termini cronologici, aprendo all’idea che i megaraptoridi possano essere originari del Gondwana orientale.
La struttura ossea del reperto – in particolare i segmenti del bacino e dell’arto posteriore – presenta elementi primitivi che suggeriscono una fase evolutiva precedente rispetto ai grandi predatori sudamericani. Questo rafforza la tesi di una migrazione inversa rispetto a quanto ipotizzato in passato. I dati raccolti mettono in dubbio la narrazione dominante, secondo cui le forme più complesse si sarebbero sviluppate prima in Patagonia.
La presenza contemporanea, nello stesso deposito fossilifero, di piccoli carcarodontosauri indica che l’ecosistema del Victoria era strutturato in modo del tutto singolare. Le sue caratteristiche climatiche, simili a quelle delle attuali zone temperate, avrebbero favorito la coesistenza tra diverse specie carnivore in ambienti boschivi e fluviali.
Questa scoperta, resa possibile da oltre dieci anni di scavi in condizioni ambientali difficili, non rappresenta solo un dato isolato. È un tassello fondamentale per comprendere come si siano formati i grandi ecosistemi del passato e quale ruolo abbiano avuto le migrazioni faunistiche nell’evoluzione delle specie. Ogni fossile che affiora porta con sé una domanda in più. E, in certi casi, una risposta che cambia tutto.