L’amministrazione Trump continua a segnare un deciso cambio di passo nella politica estera americana, alternando momenti di disimpegno a fasi di apparente interventismo. Questa strategia, emersa già da Obama, ha influenzato soprattutto le relazioni con alleati storici come il Giappone e i rapporti con potenze emergenti come la Cina, in particolare nell’area dell’Indo-Pacifico. Le recenti tensioni e manovre diplomatiche dichiarano la complessità di una regione cruciale per gli equilibri geopolitici globali.
La linea americana tra interventismo ridotto e disimpegno selettivo
Il ritorno di donald trump a Washington ha confermato un’impostazione estera improntata all’imprevedibilità ma con radici ben piantate in una politica già abbozzata sotto le amministrazioni precedenti, specie quella di barack obama. Dal Pentagono spiegano che si tratta di oscillare tra un atteggiamento meno invadente e fasi di intervento mirato. Quest’ultimo si manifesta ovunque gli interessi strategici americani sembrano minacciati, in particolare in regioni sensibili come il Medio Oriente o l’Indo-Pacifico.
Tra i segni evidenti di questo disimpegno vi sono il ritiro delle truppe dall’Afghanistan e la riluttanza a un coinvolgimento diretto in Ucraina, nonostante la grave situazione con la Russia. Questo tipo di approccio, definito “retrenchment”, nasce dall’esigenza di limitare il sovraccarico militare che deriva da una proiezione globale troppo estesa. Troppi territori, troppe basi, troppi costi che mettono a rischio il controllo effettivo e la sicurezza stessa degli asset americani.
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Concentrarsi sulle aree chiave
Per questo motivo Washington sceglie di concentrarsi su aree chiave, mirando a mantenere posizioni strategiche ma riducendo al minimo l’occupazione fisica o gli interventi diretti prolungati. L’Indo-Pacifico rientra in questa dinamica, ma le scelte fatte negli ultimi mesi mostrano anche tensioni con alleati storici come il Giappone, che rischia di vedere incrinati i rapporti più importanti con gli Stati Uniti.
il rapporto storico tra stati uniti e giappone messo alla prova dai nuovi equilibri
Dall’indomani della seconda guerra mondiale gli Stati Uniti e il Giappone hanno costruito un’alleanza destinata a durare nel tempo. Il Giappone ha beneficiato di questo rapporto per modernizzare la propria economia oltre che per rafforzare le proprie istituzioni, mentre Washington ha potuto contare su un partner strategico in un’area geografica sensibile. Il Giappone si è rivelato un argine contro le minacce della Corea del Nord e soprattutto della crescente influenza cinese nell’Asia orientale.
L’era del così detto “deep engagement”, cioè l’impegno profondo e costante di Washington in ogni parte del mondo, sembra però terminata. Già con George W. Bush il Pentagono aveva iniziato a dubitare dell’efficacia delle vaste presenze militari sul campo, discutendo i costi e i ritorni di tali scelte. L’amministrazione Obama ha consolidato questa visione, che Trump ha semplicemente portato a livelli ancora più profondi. Questo processo viene definito “retrenchment”, ovvero una strategia di contenimento del dispendio militare globale per evitare il sovraccarico.
Nuove richieste a tokyo
Il risultato riguarda anche la rinegoziazione di accordi militari con alcuni alleati, che si ritrovano ora a dover assumere un ruolo più autonomo o a rispondere a nuove richieste di Washington. Tra questi spicca il Giappone, messo di fronte alla necessità di aumentare la spesa per la difesa, una scelta non semplice vista la lunga tradizione pacifista del paese.
le tensioni tra giappone e stati uniti sulle spese militari e l’indipendenza strategica
Europa e Giappone si trovano simultaneamente a dover far fronte a pressioni crescenti su questioni di sicurezza. L’avanzata russa preoccupa l’Europa, mentre per il Giappone il principale nodo riguarda la minaccia della Cina nelle acque territoriali. In questo scenario è emersa una richiesta esplicita da parte degli Stati Uniti: portare la spesa militare al 3% del PIL, cifra che è stata poi innalzata fino al 3,5%. Per Tokyo quest’imposizione rappresenta un salto significativo rispetto al passato, e quanto basta a generare tensioni con Washington.
Di conseguenza sono saltati gli incontri bilaterali previsti per il primo luglio tra delegazioni dei due paesi. Questi cosiddetti incontri 2+2 rappresentano un appuntamento centrale per rinsaldare l’intesa e mostrare la solidità dei legami americani in Asia, soprattutto guardando agli occhi attenti di Pechino e Pyongyang. Le discussioni avrebbero dovuto concentrarsi proprio sulla situazione geopolitica sempre più calda legata alle ambizioni cinesi nel Mar cinese meridionale.
Esercitazioni militari e strategia di deterrenza contro la crescenti minacce cinesi
Le mosse aggressive di Pechino hanno portato Tokyo a rafforzare la propria cooperazione con altri paesi della regione. A giugno, il Giappone ha organizzato esercitazioni militari congiunte con le Filippine, per rispondere alla crescente attività delle forze navali cinesi nel Pacifico. Durante tali manovre si è dato particolare risalto al recente avvistamento di due portaerei cinesi nelle acque dell’Indo-Pacifico e alle manovre aeree che si sono avvicinate ai confini giapponesi.
L’ammiraglio Yoshio Seguchi ha dichiarato che “queste operazioni militari rientrano in un progetto complessivo per mantenere un indo-pacifico libero e aperto a tutte le nazioni, promuovendo fiducia e dialogo tra gli stati coinvolti.” Il rafforzamento delle collaborazioni tra guardie costiere e forze navali dei paesi limitrofi procede ormai da diversi mesi, con l’obiettivo di contenere le ambizioni marittime di Pechino e garantire rotte sicure.
Nonostante le tensioni, Washington non ha intenzione di abbandonare i propri alleati in questa regione. La politica di Trump punta infatti a mantenere un certo grado di influenza, anche se attuata con metodi spesso imprevedibili o provocatori. Allo stesso tempo, USA cerca di limitare gli eccessi, come dimostra la temporanea sospensione di dazi imposti all’Unione Europea, per non compromettere equilibri politici importanti.
In questo contesto, la presenza di Washington nell’Indo-Pacifico rimane fondamentale per contenere l’espansione cinese e mantenere la stabilità, mentre il rapporto con Tokyo assume connotati di delicata negoziazione e gestione delle tensioni. Il futuro della regione dipenderà da questi equilibri in continuo cambio, segnati da sfide che coinvolgono potenze ormai decisamente globali.