La corte suprema degli stati uniti autorizza la deportazione di migranti verso paesi terzi come sud sudan

La corte suprema degli stati uniti autorizza la deportazione di migranti verso paesi terzi come sud sudan

La Corte suprema degli Stati Uniti autorizza l’espulsione rapida di migranti verso paesi terzi come il Sud Sudan, aggravando le crisi umanitarie e suscitando critiche per la mancanza di garanzie legali.
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La Corte Suprema USA nel 2025 ha autorizzato l’espulsione rapida di migranti verso paesi terzi come il Sud Sudan, nonostante le gravi crisi umanitarie e le condizioni instabili di questi territori, suscitando un acceso dibattito sulle responsabilità e i diritti dei migranti. - Gaeta.it

La Corte suprema degli Stati Uniti ha concesso al governo di riprendere l’espulsione rapida di migranti verso paesi terzi, comprese nazioni segnate da gravi crisi umanitarie come il Sud Sudan. La decisione, presa nel 2025, riapre un difficile dibattito sulle condizioni di quei territori e sulle responsabilità degli Stati nella gestione dei flussi migratori. Il caso del Sud Sudan, in particolare, mostra un quadro complesso fatto di povertà, instabilità e emergenze sanitarie che segnano la vita di milioni di persone.

La sentenza della corte suprema che cambia le regole sulle espulsioni

Il 2025 ha visto la Corte suprema statunitense accogliere la richiesta urgente del presidente Donald Trump di riprendere le espulsioni verso paesi diversi dalla patria di origine dei migranti. Questa decisione interrompe una precedente ordinanza che imponeva al Dipartimento della sicurezza interna di fornire un preavviso scritto agli interessati, con la possibilità di contestare la destinazione indicata. La nuova sentenza elimina quindi la necessità di avvisi di questo tipo, autorizzando espulsioni rapidissime in paesi terzi.

Su nove giudici, sei hanno votato a favore, tra cui tre nominati da Trump nei suoi precedenti mandati, mentre tre giudici liberal si sono opposti, esprimendo dissenso su questa svolta. Secondo l’amministrazione, restrizioni come il preavviso avevano indebolito le capacità del governo di agire rapidamente contro i flussi irregolari. Con questa sentenza, le autorità possono quindi collocare migranti in paesi terzi senza assicurare loro garanzie formali per opporsi o fare ricorso.

Il caso sud sudan: povertà, guerra e crisi umanitaria

Il Sud Sudan rappresenta un esempio emblematico di paese terzo utilizzato per deportazioni, ma la definizione appare fuorviante se si guarda ai dati concreti. Questo stato africano è tra i più poveri al mondo, classificato al 181° posto su 188 nazioni nell’indice di sviluppo umano. Solo il 27% della popolazione sa leggere e scrivere, mentre l’aspettativa di vita media si attesta a 57 anni. L’instabilità politica e la minaccia di una ripresa della guerra civile aggravano ulteriormente il quadro.

Dal 2011, anno dell’indipendenza, il Sud Sudan ha vissuto una lunga serie di difficoltà tra conflitti interni e difficoltà economiche, dovute anche allo sfruttamento delle risorse petrolifere da parte di potenze esterne. La crisi alimentare è acuta: 7,7 milioni di persone non trovano cibo a sufficienza e due milioni di bambini si trovano in condizioni di emergenza nutrizionale, un aumento del 10% rispetto all’anno precedente secondo l’Onu.

La situazione sanitaria peggiora con la diffusione della peggiore epidemia di colera al mondo, mentre l’instabilità politica e la carenza di fondi hanno causato la sospensione di servizi essenziali per i profughi. L’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni segnala che molti disperati restano bloccati al confine con il Sudan, senza accesso a medicine o aiuti.

L’escalation di violenza e la fragile pace in sud sudan

Dopo una guerra civile lunga sette anni, conclusasi formalmente nel 2020, il Sud Sudan si trova di nuovo sull’orlo del baratro. L’ultimo conflitto ha provocato circa 400mila morti e quattro milioni di sfollati. Un terzo della popolazione era rimasto senza casa. Le tensioni tra il presidente Salva Kiir e il vicepresidente Riek Machar rimangono alte e rischiano di riaccendere la lotta per il potere in qualsiasi momento.

L’episodio più recente risale a venerdì scorso, quando un ospedale sostenuto da Medici senza frontiere nella contea di Morobo è stato preso d’assalto da uomini armati. Questi hanno saccheggiato le scorte mediche e incendiato due ambulanze. Il clima è teso, tra una pace fragile e la paura che il conflitto possa ripartire da un momento all’altro.

Nonostante queste condizioni, il Sud Sudan ha aperto le sue frontiere accogliendo un milione di rifugiati provenienti dal Sudan. Ma la mancanza di risorse ha costretto le autorità a chiudere i campi di accoglienza, abbandonando molti profughi a condizioni di estrema precarietà.

Il contrasto con la posizione della corte suprema del regno unito sulle espulsioni

La sentenza della Corte suprema degli Stati Uniti si discosta nettamente da quella adottata dal Regno Unito pochi mesi prima, nel novembre 2023. La corte britannica ha bloccato il piano del governo conservatore che prevedeva l’invio di parte dei richiedenti asilo in Rwanda, paese considerato terzo, come misura per le traversate illegali attraverso la Manica.

Quella decisione unanime ha giudicato impossibile trasferire rifugiati in nazioni dove le garanzie e le condizioni di vita non erano adeguate, sottolineando il rischio di peggiorare ulteriormente il loro stato. Nel caso statunitense, invece, la Corte ha legittimato la deportazione verso paesi in condizioni spesso precarie, in particolare il Sud Sudan, dove crisi umanitarie e violenze rendono ogni rientro molto rischioso.

Il nodo degli aiuti internazionali e l’impatto sulle popolazioni locali

La decisione della Corte suprema Usa arriva in un momento delicato, con i finanziamenti per il Sud Sudan drasticamente ridotti. I tagli alle forniture di Usaid, un’agenzia statunitense chiave per la cooperazione internazionale, hanno causato la scomparsa di molti aiuti per campi profughi e ospedali in Africa.

Molti dei servizi essenziali, gestiti da organizzazioni cattoliche e missionari sul posto, sono oggi sotto pressione e non riescono a garantire assistenza a chi fugge dalle guerre o dalla fame. La deportazione dei migranti verso un paese in queste condizioni si traduce in un aumento dei rischi per queste persone, in balia dell’instabilità e dell’assenza di servizi di base.

Uno scenario così segnato da crisi e conflitti mette sotto stress le istituzioni internazionali e riflette le difficoltà dei governi nel gestire la pressione migratoria, senza però sacrificare i diritti fondamentali e la sicurezza degli individui coinvolti. La partita sulle deportazioni legali ripropone questioni essenziali su come e dove accogliere chi fugge da condizioni estreme, un nodo di difficile soluzione nel 2025.

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