Irene Pivetti, ex presidente della Camera dei Deputati, ha vissuto un crollo totale della sua esistenza dopo una condanna a quattro anni per evasione fiscale e autoriciclaggio. La vicenda riguarda una finta vendita di Ferrari in Cina e l’attuale coinvolgimento in un processo per una presunta frode sulle mascherine durante la pandemia. Le ripercussioni sulla sua immagine pubblica e la sua situazione economica sono state drastiche, portandola a raccontare il proprio difficoltoso percorso di vita lontano dai riflettori politici.
La condanna per evasione fiscale e autoriciclaggio: la vicenda delle Ferrari in Cina
Irene Pivetti è stata condannata a quattro anni di carcere per una vicenda che ruota intorno alla falsa vendita di auto di lusso, in particolare Ferrari, con destinazione in Cina. Questo procedimento ha segnato la fine della carriera politica di una figura precedentemente di rilievo nel Parlamento italiano. Alla base della condanna ci sono accuse precise di evasione fiscale e autoriciclaggio legate ai movimenti economici relativi a quella operazione. Accanto a questa sentenza, Pivetti affronta un altro processo in corso, questa volta per un episodio di natura economica legato all’acquisto e alla vendita di mascherine importate dalla Cina durante la crisi sanitaria globale.
Questi procedimenti giudiziari hanno influenzato la percezione pubblica di Pivetti. Una volta conosciuta per il suo ruolo istituzionale, oggi si confronta con l’opposto: la perdita totale della sua credibilità . La sua posizione rispetto ai reati contestati resta ferma sull’innocenza, ma l’impatto mediatico e giudiziario resta pesante.
Il crollo della situazione economica e i mesi di estrema difficoltÃ
Dopo la condanna, le autorità hanno posto sotto sequestro tutti i conti correnti di Irene Pivetti, impedendole così qualunque movimento finanziario. Nel racconto rilasciato al “Giornale”, Pivetti ha descritto senza filtri la crisi profonda che ne è seguita. Non aveva più risorse per vivere, arrivando a non avere nemmeno i soldi per mangiare. Ha dovuto vendere oggetti di valore personale, compresi regali che le erano stati fatti per il matrimonio, e ha chiesto aiuto alla Caritas di San Vincenzo per ricevere pacchi alimentari e lattine.
Questa realtà mostra un cambiamento radicale: da protagonista della scena politica a persona che si trova a fronteggiare bisogni elementari. Pivetti ha trovato una possibilità di riscatto in una cooperativa composta da ex detenuti, la Mac Servizi, dove ha iniziato come volontaria occupandosi delle pulizie e dell’ordine negli spazi. Dopo un periodo di apprendistato gratuito, ha ottenuto un compenso di mille euro al mese, con cui ha potuto finalmente ricominciare a sostenere la vita quotidiana.
La vita in condizioni così difficili e la scelta di lavorare in una realtà marginale hanno fatto emergere una nuova dimensione della sua esistenza lontana dai privilegi passati.
La visione critica sul sistema giudiziario e il futuro incerto del processo
Nonostante le prove e il verdetto, Irene Pivetti si è dichiarata completamente innocente. Ne ha parlato come di una macchina giudiziaria che funziona in modo inesorabile, definendola una “macelleria” che tende a sacrificare le persone senza veramente cercare la verità . Questa posizione conferma il suo stato d’animo rispetto a una strada giudiziaria complicata e pesante.
Di fronte al procedimento attuale per la compravendita di mascherine, Pivetti ha espresso due timori concreti. Il primo è quello di finire in carcere ingiustamente, un’ipotesi che vuole affrontare con preparazione mentale. La seconda possibilità è che il processo si prolunghi a tal punto da superare i tempi della sua vita, un’incognita che la spinge a non aspettare ulteriormente per vivere. Ha scelto di concentrarsi sul presente, tenendo separate le sue giornate dal carico delle cause legali.
Questo racconto umano mostra la fatica di restare a galla in un sistema giudiziario che può durare anni e che si riflette profondamente sulla vita personale di chi lo attraversa.
L’esperienza di Irene Pivetti resta un caso che unisce politica, giustizia e difficoltà sociali in modo vivido. La sua vicenda mette a fuoco le conseguenze di una condanna pesante, non solo professionali ma anche umane ed economiche. Dalle pagine pubbliche di una figura istituzionale si passa ad uno spazio quotidiano segnato dal bisogno e da lotte personali.