Il vino prodotto sull’isola d’Elba si trova oggi davanti a un bivio complesso. Cresciuto nel corso degli anni in qualità, questo prodotto tipico vive però in una “gabbia dorata” legata principalmente al consumo turistico. Questa situazione limita la diffusione del vino elbano al mercato esterno, mettendo a rischio la crescita futura della viticoltura locale. Recenti iniziative cercano di rafforzare la collaborazione tra produttori e settore alberghiero per superare questi limiti. Molti vignaioli raccontano come, pur migliorando le produzioni, la notorietà fuori dall’isola rimanga scarsa. I racconti raccolti nelle cantine dell’Elba evidenziano difficoltà, opportunità e strategie.
Il contesto storico della viticoltura elbana e i cambiamenti produttivi
La viticoltura dell’isola d’Elba, la più estesa dell’arcipelago toscano, ha radici profonde, con un passato segnato da alti e bassi. Tra il 1880 e il 1888, la superficie coltivata superava i 5.000 ettari con una produzione di circa 150.000 ettolitri. Poi arrivò la fillossera, che tra 1890 e 1893 provocò severi danni ai vigneti, causando crisi economiche e spingendo molti abitanti a lasciare l’isola. Nel dopoguerra, la superficie vitata si ridusse drasticamente, attestandosi intorno ai 3.000 ettari fino agli anni cinquanta. Nonostante questo, per molti anni la viticoltura rimase un’attività centrale per la popolazione. Nel 1982 gli ettari erano scesi a 565, pari a un quarto della superficie agricola. Oggi si contano circa 350 ettari vitati, distribuiti tra il livello del mare e altitudini di 450 metri, con produzioni che raggiungono le 500.000 bottiglie. Sul territorio operano 15 aziende che producono vini Doc, Docg, Igt e da tavola, mentre altre cantine più piccole conferiscono uve.
Il ruolo del turismo nel consumo e le difficoltà di espansione dei vini elbani
Il turismo rappresenta il principale canale di consumo per i vini dell’Elba, creando un paradosso. Se la presenza di visitatori assicura una buona domanda interna, questa concentrazione limita però l’esportazione e la conoscenza dei vini fuori dall’isola. La pandemia ha ulteriormente frenato la partecipazione a eventi esterni e fiere, peggiorando la visibilità anche in un periodo in cui la qualità dei prodotti è cresciuta notevolmente. Il consorzio dei vini elbani è attivo solo formalmente e non svolge in maniera efficace azioni promozionali fuori dall’isola. Le varietà principali di vite coltivate sono bianchi come Procanico, Ansonica e Vermentino, e rossi come Sangiovese, con l’Aleatico Passito Docg tra le tipologie più conosciute.
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Esperienze e strategie dei produttori per promuovere e migliorare il vino dell’elba
Le aziende raccontano sfide e progetti per sviluppare vendite e visibilità. Lorenzo Signorini dell’azienda Cecilia punta sulla vendita diretta e sull’accoglienza in cantina con eventi culturali. Segnala però come la collaborazione con gli albergatori, finora molto stretta, abbia portato a un isolamento dal mercato esterno. Per allargare gli orizzonti commerciali occorrono quindi forme associative efficaci e la partecipazione a eventi fuori dall’isola. Pietro Roveda dell’Acquabona evidenzia le difficoltà legate alla conformazione del territorio, con vigneti storici su terrazzamenti ora abbandonati e attività agricole che incontrano problemi di gestione elevata e presenza di animali selvatici. La crescita produttiva si deve affidare alla collaborazione con piccoli viticoltori e all’affitto o acquisto di nuovi terreni.
Le difficoltà ambientali e territoriali limitano l’espansione produttiva
L’Elba presenta vincoli ecologici e paesaggistici che frenano l’apertura di nuovi vigneti. Aldo Appiani, titolare de Le Sughere di Monte Fico, mette in luce come la poca estensione agricola, i costi elevati di coltivazione e i vincoli del parco naturale rallentino gli investimenti. Inoltre, l’abbandono legato alla mancanza di interessamento dei giovani e di turnover nelle aziende si traduce in un ricambio generazionale scarso. Progetti di coinvolgimento giovanile sono rimasti senza risposte. La mancanza di un’enoteca dedicata ai vini elbani evidenzia la frammentazione del settore e le difficoltà nel creare una rete condivisa tra produttori.
Le aziende che guardano all’esterno e la necessità di nuovi mercati
Sergio Lauriola, proprietario de La Faccenda, sottolinea il legame stretto tra vino e turismo, ma invita le aziende più grandi a spingersi oltre i confini isolani per affrontare eventuali cali nel consumo turistico. Fattoria delle Ripalte, la realtà industriale più estesa dell’isola, ha rilanciato la viticoltura nel 2002 puntando soprattutto all’Aleatico. L’azienda è impegnata a promuovere i vini in Italia e all’estero, con l’obiettivo di aumentare la quota internazionale. Anche se limita il proprio sviluppo produttivo per motivi territoriali, sta studiando nuove aree per diminuire i vincoli imposti dalla natura del terreno. Le etichette sono pensate per un mercato ampio, con richiami internazionali anziché strettamente locali.
Innovazione e ricerca per valorizzare i vini e la viticoltura elbana
L’azienda Arrighi ha ottenuto visibilità internazionale grazie al progetto Nesos, un vino ottenuto da uve ansonica sottoposte a un processo di vinificazione innovativo, incluso l’immersione in mare. Il progetto ha ricevuto attenzione mondiale e ha aiutato a posizionare l’Elba come area di sperimentazione. Anche se il successo ha creato qualche rivalità tra i produttori, la collaborazione con università e istituti di ricerca ha generato risultati concreti sia in vigna che in cantina. Antonio Arrighi sottolinea l’importanza di farsi conoscere sui mercati esterni per evitare di dipendere esclusivamente dal consumo turistico locale.
Il valore della tradizione e le sfide del mercato della terra e dei consumi
Italo Sapere, titolare della Sapereta, azienda quasi centenaria, racconta delle difficoltà legate al mercato della terra e all’equilibrio tra produzione e vendita. Il turismo è il principale acquirente, ma la pressione sui prezzi dei terreni rende complicato espandere la superficie vitata. Trovare uve biologiche di qualità è un altro nodo difficile, così come l’oscillazione produttiva tra annate. Sapere osserva che l’assenza di stock nelle cantine spegne gli stimoli per avviare programmi promozionali organizzati dal consorzio. Nonostante questo il mercato interno all’isola rimane tranquillo e consolidato.
Una realtà produttiva piccola ma pronta a collaborare per il futuro
Nonostante ci siano circa venti aziende vitivinicole, di cui una quindicina più strutturate, l’elaborazione di una strategia comune stenta a decollare. La frammentazione del comparto impedisce sinergie efficaci che potrebbero facilitare l’uscita dei vini elbani dai confini isolani e rafforzare la reputazione del territorio. La crescita quantitativa dei vini è contenuta, pertanto la soluzione si basa più sulla qualità, sull’innovazione e su una promozione mirata. L’esperienza dell’Elba mostra come la viticoltura insulare sia legata a doppio filo con il turismo, ma senza un dialogo aperto tra produttori è difficile scalare nuovi mercati e assicurare un futuro solido alle etichette locali.