Le ultime sentenze del tribunale dei minori di Palermo su alcune famiglie legate alla mafia hanno scatenato un dibattito acceso sul destino dei ragazzi coinvolti. L’obiettivo è chiaro: togliere ai genitori mafiosi l’autorità sui figli per allontanarli dall’influenza negativa della cultura mafiosa che permea le loro vite. Ma il nodo vero non è solo giuridico: è capire se davvero si può garantire a questi ragazzi un futuro lontano dal mondo criminale.
Il tribunale si muove: via la patria potestà ai genitori mafiosi
Il tribunale dei minori ha preso una posizione decisa, togliendo la patria potestà ai genitori coinvolti con la mafia. Dietro questa scelta c’è un attento lavoro degli operatori giudiziari, che hanno valutato ogni situazione con cura. L’obiettivo è evitare che i figli crescano dentro un contesto che li spinge a seguire regole e valori mafiosi, chiudendo le porte a qualsiasi altra possibilità.
Ma non basta staccare il legame legale con il genitore mafioso. Serve soprattutto un ambiente che sostenga la crescita sana del minore. Nei paesi con welfare avanzati, come Svezia o Danimarca, ci sono reti di servizi sociali, educativi e famiglie affidatarie che si fanno carico di questo compito. Qui, invece, togliere la patria potestà spesso significa affidare i ragazzi esclusivamente alla madre, senza altri sostegni.
Leggi anche:
Il peso sulle spalle delle madri e la mancanza di aiuti nel Sud
Al Sud, togliere la patria potestà al padre mafioso significa quasi sempre lasciare tutto sulle spalle della madre e della sua famiglia. C’è un vecchio detto napoletano, “ogni scarrafone è bello a mamma soje”, che sembra calzare a pennello per Palermo, dove la rete sociale e culturale offre poche garanzie reali.
Il punto è: la madre ha davvero le risorse economiche, le capacità e il supporto per crescere un figlio lontano dall’ombra del padre? La risposta è spesso no. I servizi sociali scarseggiano, il welfare è insufficiente e le madri si trovano spesso ad affrontare da sole situazioni difficili.
Si ha il sospetto che questo sia più un modo per lo Stato di evitare spese e responsabilità, piuttosto che un progetto serio di protezione per i minori. Rompere davvero con il passato mafioso richiederebbe investimenti concreti a sostegno delle famiglie e delle comunità già fragili.
Perché lasciare i ragazzi nei quartieri mafiosi è un rischio
Togliere la patria potestà ma lasciare i minori nel loro stesso quartiere o mandamento mafioso può essere pericoloso. Qui la cultura della mafia non è solo un problema di singoli, ma un fatto che attraversa tutta la comunità, influenzandone regole e comportamenti.
Un ragazzo affidato alla madre o alla comunità locale rischia di restare immerso in modelli e dinamiche mafiose. Negli ultimi mesi, episodi di violenza a Palermo e dintorni, come la sparatoria a Monreale che ha ucciso tre giovani, hanno messo in luce la fragilità sociale di questi territori. Non si tratta solo di singoli genitori, ma di un contesto che rende difficile a questi ragazzi crescere lontano dalla mafia.
I figli dei mafiosi: tra colpe individuali e responsabilità dello Stato
La legge punisce il singolo genitore mafioso, ma il problema è come garantire un futuro diverso ai ragazzi coinvolti. Togliere la patria potestà non basta se il minore resta nella stessa comunità.
Serve qualcosa di più efficace, che offra ai ragazzi un ambiente fuori dal circuito mafioso. Ad esempio, affidamenti in territori diversi, con supporti legali e formativi adeguati, coinvolgendo anche il Comune d’origine per le spese.
Lasciare i minori in ambienti mafiosi è come affidarli a un contesto abusante. La mafia non si elimina con una semplice decisione legale. Serve un cambio di strategia.
Protezioni esistenti e risorse ancora da sfruttare
Le misure di protezione per le famiglie dei pentiti sono un esempio importante. Questi nuclei vengono aiutati economicamente e spostati in luoghi sicuri, lontani dal loro ambiente d’origine. Questo dimostra che distacco legale e cambio di scenario devono andare insieme.
Nel caso di mafiosi pentiti come Giovanni Brusca, oggi libero, resta aperta la questione delle risorse pubbliche. Fondi per proteggere minori e famiglie potrebbero arrivare anche dalla gestione dei beni confiscati o da una diversa destinazione dei fondi antimafia.
L’esperienza del tribunale di Palermo mostra quanto sia complesso un fenomeno che parte dal singolo ma riguarda strutture sociali molto più ampie. Togliere la patria potestà è solo il primo passo di un percorso lungo e difficile.