Corte dell'Aja: sorpresa italiana sul caso Almasri e rischi di crisi diplomatica

Corte dell’Aja: sorpresa italiana sul caso Almasri e rischi di crisi diplomatica

La Corte Penale Internazionale chiede chiarimenti all’Italia sulla mancata consegna del carceriere libico Almasri, sollevando preoccupazioni per la cooperazione internazionale e le relazioni diplomatiche.
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Corte dell'Aja: sorpresa italiana sul caso Almasri e rischi di crisi diplomatica - Gaeta.it

La Corte Penale Internazionale ha acceso i riflettori sul controverso caso di Almasri, un carceriere libico accusato di crimini contro l’umanità. Il recente intervento della Corte fa emergere tensioni con l’Italia, da cui si attendono spiegazioni ufficiali riguardo alla richiesta di arresto non rispettata. La situazione solleva interrogativi sulla cooperazione internazionale e sulla responsabilità del governo italiano, amplificati dal ricorso di un rifugiato torturato. Gli esperti temono che il dossier possa essere portato all’attenzione del Consiglio di Sicurezza dell’Onu, mettendo a rischio ulteriori relazioni diplomatiche.

La richiesta della Corte dell’Aja

Un comunicato stampa del portavoce della Corte dell’Aja ha confermato che l’ente ha avviato una richiesta formale a Roma per chiarire le ragioni alla base dell’ignoranza della richiesta di consegna di Almasri. Questa mossa arriva dopo ventitré giorni dall’emissione di un mandato d’arresto internazionale nei suoi confronti. La Corte, che vigila sull’applicazione dello Statuto di Roma, è molto riservata sugli sviluppi, ma giuristi ed esperti indicano che il rischio di escalation è significativo. L’attenzione si concentra sulla gestione da parte dell’Italia di una situazione che potrebbe avere ripercussioni globali, data la rilevanza del caso nel contesto delle violazioni dei diritti umani in Libia, paese sotto l’egida della giurisdizione della Corte.

Nessuna indagine per il governo italiano

Non sembrano esserci indagini in corso nei confronti della premier Giorgia Meloni e dei suoi ministri Carlo Nordio e Matteo Piantedosi, nonostante un ricorso presentato da un rifugiato sudanese, vittima delle torture di Almasri. A partire dal 2 ottobre scorso, il caso è stato sotto esame dalla Camera preliminare I dell’Aja, con la giudice Iulia Motoc alla guida. Le colleghe Alapini-Gansou e Flores Liera sono state fondamentali nella deliberazione che ha portato all’emissione del mandato di arresto. Nonostante il consenso generale, la giudice messicana Flores Liera ha espresso dissenso, sostenendo che la Corte non avesse giurisdizione in questo caso, un argomento che ha trovato eco nelle parole del ministro Nordio.

Cresce la tensione tra governo italiano e Corte

Il rapporto tra il governo italiano e la Corte dell’Aja è in una fase critica. Lo Statuto di Roma e i regolamenti della Corte potrebbero portare a un bivio in cui l’Italia possa essere ritenuta responsabile di mancata cooperazione. In tal caso, il dossier non resterebbe confinato all’Aja, ma sarebbe elevato al Consiglio di Sicurezza dell’Onu, accrescendo così la pressione diplomatica sull’Italia e sulla Corte stessa. Questo scenario complesso diventa ancor più delicato, considerando l’attuale contesto politico internazionale e le relazioni sempre più tese con gli Stati Uniti, in particolare con l’amministrazione Trump, che critica spesso la Corte per le sue decisioni.

Le reazioni europee e le prossime mosse

Mentre l’Europa osserva con attenzione le evoluzioni sul fronte della giustizia internazionale, le istituzioni europee stanno preparando contromisure. La casa dei rappresentanti dell’Unione si attiva per proteggere la Corte dalle minacce di sanzioni statunitensi. Una proposta in discussione nei prossimi giorni prevede un aggiornamento dello “statuto di blocco”, ideato per difendere gli interessi europei da sanzioni extraterritoriali. La gestione di questo dossier potrebbe complicarsi, con l’Italia che si trova in una posizione isolata per aver scelto di non unirsi agli altri Stati membri nella recente firma del documento di supporto alla Corte presso l’ONU, una decisione che ha sollevato interrogativi sulla sua volontà di collaborare su questioni di giustizia internazionale.

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