Un’indagine della polizia di Asti ha scoperto un sistema di prostituzione strutturato, con due appartamenti usati come basi operative e una donna cinese, regolare sul territorio con permesso di lavoro, identificata come la responsabile principale. L’operazione si è conclusa con l’arresto della presunta titolare, il sequestro degli immobili coinvolti e 50 mila euro in contanti, oltre all’espulsione di quattro stranieri irregolari collegati all’attività.
La struttura e il controllo serrato del sistema di sfruttamento
L’inchiesta ha evidenziato che la rete non era improvvisata, ma organizzata con regole precise. La donna, di origine cinese, obbligava le connazionali a prostituirsi e a consegnarle tutti i guadagni. Le vittime erano sorvegliate costantemente tramite un sistema di telecamere remote installate negli appartamenti, che permetteva alla responsabile di controllare entrate, uscite e i contatti con i clienti. Ogni spostamento era monitorato: la gestione ricordava più una detenzione che una convivenza forzata. Questo doppio controllo limitava qualsiasi forma di autonomia per le donne, mantenendole in uno stato di totale dipendenza.
Le telecamere servivano anche a sorvegliare gli incontri, impedendo alle ragazze di allontanarsi o denunciare senza essere notate. La sorveglianza elettronica dimostra un’organizzazione pensata non solo per mettere sotto pressione le vittime, ma per coordinare con precisione l’attività commerciale illegale. Il sistema funzionava come una macchina di controllo, applicando una disciplina rigida e severa.
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La promozione clandestina e la crescita del giro d’affari
Non bastava costringere le donne a lavorare: la responsabile cercava di ampliare la clientela pubblicando annunci su riviste locali, proponendo servizi dettagliati per attrarre nuovi clienti e mantenere un flusso costante di richieste. Queste inserzioni rappresentano una forma di pubblicità illegale calibrata per aumentare il giro d’affari, confermando il carattere imprenditoriale dell’organizzazione.
Gli annunci pubblicizzati mettevano in chiaro un’attività illegale diffusa, gestita con metodi tipici di un mercato parallelo e nascosto. La ripetizione di queste inserzioni su riviste locali indicava la volontà di consolidare la clientela e garantire entrate continue, segno che il sistema faceva leva su una domanda radicata e accettata implicitamente. La combinazione tra controllo rigido e strategia commerciale rendeva l’organizzazione un modello ben collaudato.
L’irregolarità del permesso di soggiorno e le complicità locali
L’indagine ha rivelato anche irregolarità burocratiche. La donna arrestata aveva ottenuto il permesso di soggiorno dichiarando un indirizzo fittizio, collegato a un cittadino italiano senza alcun legame reale con lei. Quest’ultimo è stato denunciato per favoreggiamento, avendo fornito un appoggio falso che ha permesso alla donna di apparire regolare pur svolgendo un’attività illegale.
Questo elemento fa emergere una rete di complicità che supera la sola gestione della prostituzione, coinvolgendo persone sul territorio disposte a sostenere formalmente la presenza di stranieri senza legami veri. Le autorità hanno posto al centro delle indagini questo aspetto per verificare eventuali ulteriori collusioni con soggetti locali. La vicenda mostra quanto sia complesso smantellare sistemi in cui illegalità e complicità si intrecciano, sollevando nuovi interrogativi sugli appoggi all’interno di comunità apparentemente distanti dal fenomeno.
Il fenomeno dello sfruttamento sessuale in Italia e le dinamiche nazionali
Il caso di Asti si inserisce in un quadro più ampio. Nonostante la legge Merlin del 1958 abbia chiuso le case di tolleranza, la prostituzione organizzata continua in appartamenti anonimi. Questi spazi, nascosti in edifici ordinari, alimentano un’economia sommersa che coinvolge soprattutto donne straniere. Le forze dell’ordine definiscono questo fenomeno “un mercato nascosto ma capillare”, dove individuare chi e dove opera è difficile.
Statistiche recenti indicano che le donne più colpite provengono da Paesi dell’Est Europa, Africa e Asia, spesso controllate da connazionali. La lingua e la dipendenza dalla rete di sfruttamento diventano strumenti per mantenere isolate queste donne, spesso senza documenti e prive di tutele. L’esperienza di Asti rientra in questo schema: persone isolate, senza alternative, costrette a sottostare a un’autorità severa che gestisce ogni aspetto della loro vita.
Gli sviluppi giudiziari e la lotta alle reti di sfruttamento
L’arresto della donna rappresenta una fase di un procedimento ancora in corso. La magistratura sta valutando i reati contestati e le sanzioni da applicare. Il sequestro degli immobili e del denaro sottrae risorse a un’attività che rischiava di espandersi ulteriormente. Un punto centrale riguarda però la rete più ampia di complicità locale, emersa anche dal caso dell’indirizzo falso usato per ottenere il permesso di soggiorno.
Gli inquirenti si concentrano su queste piste per capire se dietro singoli episodi di sfruttamento ci siano organizzazioni più complesse, capaci di sfruttare le falle del sistema amministrativo per mantenere l’attività. Questi sviluppi potrebbero portare a nuove indagini e a far emergere strutture ancora sconosciute, impegnate a sfruttare persone vulnerabili all’interno di una clandestinità difficile da smantellare. Il caso di Asti conferma la presenza di queste reti anche in città di medie dimensioni.