La gestione della fauna selvatica in Italia sta attraversando uno snodo cruciale. La legge 157 del 1992, che ha regolato per trent’anni la tutela degli animali selvatici, oggi appare superata rispetto ai cambiamenti ambientali e agricoli intervenuti. Tra le specie che mettono più in crisi il settore agricolo emergono cinghiali e altri ungulati, la cui presenza è cresciuta fino a causare danni significativi. Un ddl presentato al Senato punta a rivedere la normativa introducendo nuovi ruoli e responsabilità per gli agricoltori, con l’obiettivo di migliorare la convivenza tra attività rurali e fauna.
I limiti della legge del 1992 davanti ai nuovi scenari ambientali e agricoli
La legge 157 del 1992 nacque per proteggere la fauna selvatica. In quegli anni, specie a rischio rischiavano di sparire e la normativa si concentrava sul loro mantenimento e tutela. Oggi la situazione è capovolta: alcune specie, cinghiali in testa, sono diventate troppo numerose, causando danni ingenti alle colture e agli allevamenti. Secondo i dati citati da cristiano fini, presidente nazionale di cia – agricoltori italiani, i cinghiali sono responsabili dell’80% delle perdite nel settore agricolo italiano. Questo squilibrio richiede un ripensamento delle regole per conciliare la protezione della fauna con la salvaguardia dell’attività agricola.
L’evento ‘il futuro della fauna in italia, dalla crisi alla riforma’, ha rappresentato un momento di confronto tra istituzioni, agricoltori e esperti, proprio per analizzare questi mutamenti e proporre nuove soluzioni legislative. Il ddl di modifica alla legge 157, promosso da senatori di diversi schieramenti politici, riflette un bisogno avvertito da tempo di adattare la normativa alle condizioni reali del territorio e delle coltivazioni.
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Il ruolo attivo degli agricoltori nella gestione diretta dei danni da fauna
Una delle novità principali introdotte nel testo del ddl riguarda il riconoscimento degli imprenditori agricoli come attori diretti nel controllo della fauna selvatica. Tradizionalmente, le azioni di contenimento della fauna erano affidate esclusivamente a soggetti specifici, come guardiaparco o cacciatori autorizzati. Il nuovo disegno di legge prevede la possibilità per gli agricoltori di prendere parte a questi piani di contenimento, ma solo dopo aver ottenuto la licenza venatoria e aver seguito una formazione adeguata.
Questo passaggio dà agli agricoltori strumenti operativi più diretti per intervenire, in particolare nei casi emergenziali in cui la presenza di specie infestanti mette a rischio la produttività delle colture o la salute del bestiame. Al contempo, permette un controllo più capillare del territorio. Ciò potrebbe ridurre i tempi di intervento e inserire gli agricoltori stessi nel sistema di sorveglianza faunistica.
Cristiano fini ha evidenziato che la possibilità di coinvolgere direttamente chi subisce il danno rappresenta un cambiamento significativo, capace di rispondere in modo più efficace alle richieste del settore agricolo. A questo si aggiunge il fatto che i piani di contenimento resteranno regolati dalle norme vigenti e da criteri di sicurezza e formazione, quindi la responsabilità non verrà mai affidata in modo indiscriminato.
L’importanza degli ambiti territoriali di caccia per un equilibrio faunistico e agricolo
Il ddl propone anche una valorizzazione degli ambiti territoriali di caccia , organismi che operano sul territorio per gestire le attività venatorie e monitorare la fauna. Secondo la cia, rafforzare la funzione degli ATC significa creare un ponte tra il mondo della caccia e quello agricolo, incentivando pratiche a favore di un migliore equilibrio tra fauna selvatica e attività rurali.
Gli ATC potranno promuovere collaborazioni, ad esempio, con agricoltori e tecnici per elaborare strategie di contenimento su misura e tempestive. Questi enti avranno un ruolo più decisivo nel coordinare interventi e nella gestione delle risorse faunistiche nei territori di loro competenza.
Fini ha sottolineato che non si mira a estirpare specie ma a gestirne la sovrappopolazione, creata in parte proprio dall’inadeguatezza delle vecchie norme. Dopo anni di difficoltà, questa riforma appare come un primo passo concreto per una gestione più funzionale e condivisa.
Proposte regionali: tavoli di confronto, gestione dei predatori e fondi per i danni
Durante il convegno sono emerse anche varie istanze provenienti dai rappresentanti regionali di cia. Tra le richieste principali c’è l’istituzione di un tavolo di concertazione stabile tra agricoltori, istituzioni e operatori faunistici. Questo organo dovrebbe coordinare interventi, monitorare l’applicazione della legge e definire protocolli condivisi.
Un altro punto riguarda la gestione dei predatori, animali che possono attaccare il bestiame e che rappresentano un problema per molti allevatori. Qui si chiede un intervento più deciso e risorse adeguate per gli agricoltori che subiscono danni.
Infine, è stata ribadita la necessità di rafforzare il sistema di risarcimenti economici, ancora giudicato insufficiente in molti casi. Aumentare la copertura per le perdite causate dalla fauna selvatica permetterebbe agli operatori agricoli di affrontare meglio le difficoltà e investire con più serenità nella propria attività.
Le proposte regionali indicano una volontà diffusa di migliorare non solo la legge ma anche gli strumenti pratici a supporto degli agricoltori, in un quadro di collaborazione più stretto tra le parti coinvolte.