Un gruppo di ricercatori australiani ha individuato una variante genetica che incide sul rischio di demenza in modo differente tra uomini e donne. La scoperta emerge da un’indagine pubblicata su Neurology, che evidenzia come una comune mutazione genetica raddoppi il pericolo di sviluppare demenza nei maschi, senza influire allo stesso modo sulle femmine. Questo dato apre nuove strade per interventi mirati e suscita domande sulle cause di questa differenza di genere.
I dati dello studio aspree e il focus sulla variante genetica h63d
La ricerca fa leva sui dati raccolti dallo studio Aspree, un trial clinico randomizzato e in doppio cieco svolto tra Australia e Stati Uniti su oltre 19.000 anziani sani. Progettato inizialmente per valutare l’impatto dell’assunzione quotidiana di aspirina a basso dosaggio, Aspree ha generato un patrimonio di informazioni sull’invecchiamento e sulle malattie associate all’età avanzata. Il team di scienziati ha utilizzato questo database per studiare il legame tra il gene Hfe, coinvolto nel controllo dei livelli di ferro nel corpo, e il rischio di demenza.
Analisi della variante h63d
In particolare, i ricercatori hanno analizzato la variante nota come H63D. Secondo John Olynyk della Curtin Medical School, coautore dello studio, circa un terzo delle persone porta una sola copia di questa variante, senza effetti sulla salute né sul rischio di demenza. Il dato più rilevante riguarda invece chi ha due copie: in questo caso, il rischio di demenza più che raddoppia negli uomini, mentre nelle donne tale associazione non si manifesta. Identificare questa connessione ha richiesto un’analisi approfondita, considerando l’ampiezza e la qualità dei dati raccolti nel corso del trial Aspree.
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Perchè la variante h63d aumenta il rischio di demenza solo negli uomini?
Il motivo per cui la variante H63D incide sul rischio di demenza solo nei maschi rimane un punto aperto e oggetto di ulteriori investigazioni. L’esperto australiano sottolinea che, anche se il gene in sé non può essere modificato, è possibile che i processi cerebrali collegati a questa mutazione condizionino i danni che portano alla demenza. Indagare tali meccanismi potrebbe aprire nuove strade terapeutiche per rallentare o prevenire l’insorgenza della malattia in chi possiede la doppia copia della variante.
Ruolo del ferro e processi collegati
Un aspetto importante emerso dallo studio riguarda i livelli di ferro nel sangue. Sebbene il gene Hfe regoli l’assorbimento di ferro, non si riscontra un collegamento diretto tra il ferro ematico e l’aumento del rischio di demenza negli uomini portatori della variante. Ciò suggerisce che altri fattori, forse legati a infiammazione o al danneggiamento cellulare nel sistema nervoso, possano giocare un ruolo cruciale. Capire questi percorsi è fondamentale per pensare a trattamenti mirati.
Implicazioni per i test genetici e la prevenzione della demenza
Un’altra conseguenza significativa riguarda l’approccio diagnostico. Il gene Hfe viene comunemente testato in molti Paesi occidentali, compresa l’Australia, per identificare l’emocromatosi, una condizione che provoca un eccessivo accumulo di ferro nell’organismo. Alla luce dei nuovi risultati, gli esperti suggeriscono di ampliare lo screening soprattutto tra gli uomini, per individuare tempestivamente coloro che presentano la doppia copia della variante H63D. Potrebbe così scattare un’attenzione maggiore alle strategie di prevenzione e monitoraggio per ridurre il rischio di demenza.
Tuttavia, il collegamento tra il gene e il rischio di demenza non è diretto con il livello di ferro nel sangue, per cui l’attenzione dovrà spostarsi su altri meccanismi biologici. Studi futuri dovranno chiarire quali processi contribuiscono al danno cerebrale e come intervenire per limitarlo. La sensibilizzazione sui test genetici in ambito neurologico potrebbe quindi crescere nei prossimi anni.
Contributi delle università australiane e prospettive sulla lotta alla demenza
Questo lavoro rappresenta la collaborazione tra Curtin University, Monash University, università di Melbourne, Royal Children’s Hospital, Murdoch Children’s Research Institute e Fiona Stanley Hospital. Una rete di ricerca che ha unito competenze diverse per rispondere a domande complesse sulla demenza. Paul Lacaze della Monash University commenta che i risultati potranno migliorare la prospettiva per migliaia di persone a rischio, soprattutto uomini con la doppia variante genetica.
La demenza coinvolge oggi più di 400.000 australiani, con una quota consistente di uomini colpiti. Capire il perché di questo rischio differenziato in base al sesso può aprire la strada a strategie più personalizzate di diagnosi e cura. Lo studio australiano integra conoscenze esistenti e apre un dialogo fra genetica, neurobiologia e medicina preventiva.
Impatto globale e futuro della ricerca
Una maggiore attenzione a queste dinamiche può generare benefici non solo in Australia, ma in tutto il mondo, dove la popolazione invecchia e la demenza resta una delle principali sfide sanitarie. Le università coinvolte proseguiranno nella ricerca per chiarire i percorsi biologici in gioco e sviluppare interventi specifici per chi è più vulnerabile.