L’area dei campi flegrei torna al centro dell’attenzione scientifica dopo una recente scoperta che cambia molto la percezione della storia eruttiva del vulcano. Uno studio pubblicato su Communications Earth and Environment di Nature ha rivelato che circa 109.000 anni fa si verificò un’eruzione di magnitudo paragonabile all’Ignimbrite Campana, l’evento più vasto mai registrato nel Mediterraneo. Questo progetto coinvolgeva diversi enti italiani di ricerca, tra cui il Cnr-Igag, Sapienza Università di Roma, Ingv e l’università Aldo Moro di Bari. Andiamo a vedere cosa emerge da questo studio, il metodo usato per ricostruire questa antica eruzione, e le conseguenze per chi oggi vive nei dintorni.
I campi flegrei, un vulcano sotto la città con una storia ancora in parte nascosta
I campi flegrei rappresentano un complesso vulcanico attivo situato vicino a Napoli, circondato da zone densamente abitate. La sua attività nel corso degli ultimi 40.000 anni è documentata con dettagli crescenti, tuttavia i dati sulle eruzioni più antiche restavano incompleti. L’identificazione di un’eruzione potente risalente a 109.000 anni fa amplia la nostra prospettiva, mostrando come eventi distruttivi capaci di impattare vaste aree del Mediterraneo si siano verificati anche molto tempo fa, ben prima delle eruzioni note agli esperti. Quella eruzione, definita “di Maddaloni” o X-6, ha lasciato tracce di ceneri fin dalla penisola italiana fino alla Grecia, confermando un’ampia dispersone che amplifica la sua portata.
I depositi vulcanici dell’eruzione sono stati rinvenuti in numerosi siti, confermando la vastità di questo episodio. L’area flegrea insomma, che appare oggi come un complesso vulcanico studiato in modo approfondito, nasconde ancora eventi significativi da scoprire. Questo rende la zona un esempio rilevante per lo studio dei vulcani a rischio, e per gli abitanti locali che vigilano sul suo comportamento.
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Metodi e approccio dello studio che ha scoperto l’eruzione di maddaloni
Lo studio si basa su un approccio multidisciplinare, combinando stratigrafia, geochimica, vulcanologia e modellazione della dispersione delle ceneri. Il team formato da ricercatori del Cnr-Igag, Sapienza, Ingv e università di Bari Aldo Moro ha messo insieme dati provenienti da varie località nel Mediterraneo. Le ceneri corrispondenti all’eruzione Maddaloni/X-6 sono state mappate e analizzate in modo dettagliato, ottenendo misure precise di volume, estensione e parametri eruttivi.
Questa ricostruzione è possibile grazie alla comparazione con eruzioni più recenti e meglio documentate, applicando i modelli di dispersione delle ceneri tradizionalmente utilizzati per eventi più vicini nel tempo. Qui il lavoro si complica, proprio perché l’eruzione è molto antica e manca ogni traccia diretta nell’area vulcanica originaria. Gli studiosi hanno però potuto verificare la diffusione e la composizione del materiale vulcanico depositato, risalendo a dettagli della fase esplosiva.
Le analisi stratigrafiche e petrografiche hanno permesso di identificare la firma chimica dell’eruzione, distinguendola da altri eventi flegrei più recenti. Così è stata possibile una datazione più precisa, che colloca quell’evento a 109.000 anni fa, e una stima del volume eruttato che la colloca tra le maggiori eruzioni del tardo Pleistocene nel Mediterraneo.
Quali effetti ha avuto l’eruzione di 109.000 anni fa e cosa cambia oggi
L’eruzione di Maddaloni ha rilasciato nei cieli del Mediterraneo quantitativi imponenti di ceneri, coprendo un’area molto vasta e influenzando il clima locale. La presenza di questi depositi lontano dall’area vulcanica testimonia la forza e la violenza dell’evento. L’impatto di quell’eruzione nel Pleistocene fu probabilmente enorme per l’ambiente, anche se i dettagli di conseguenze ecologiche dirette restano in parte da definire.
La scoperta non segnala però un pericolo imminente. I monitoraggi attuali sui campi flegrei, inclusi quelli relativi a bradisismo e attività fumarolica, non indicano segni di una eruzione prossima. L’analisi ricostruisce il passato e aggiorna i modelli di rischio. Sapere che eruzioni di grande portata sono avvenute con questa frequenza nell’ultimo centinaio di migliaia di anni aiuta a capire quali tipi di eventi la zona può ancora produrre.
In particolare non va confuso bradisismo e attività attuale con eventi esplosivi di questa portata, che avvengono su tempi molto lunghi e con modalità diverse. Per chi vive nei dintorni resta comunque fondamentale supportare la continua ricerca e i sistemi di allerta, alla luce di questa scoperta che invita a non sottovalutare la complessità della storia vulcanica di quest’area.
Domande chiave sulla eruzione e i vulcani dei campi flegrei oggi
La scoperta di un’eruzione di questa intensità suscita domande diffuso. La prima riguarda il rischio di una eruzione simile in tempi brevi. La risposta è negativa: lo studio serve a comprendere il passato e a migliorare la messa a punto dei modelli previsionali, non a prevedere un’eruzione imminente.
Altre questioni riguardano la differenza tra questa eruzione e i fenomeni di bradisismo, che consistono in movimenti lenti del terreno. Si tratta di fenomeni con cause e tempi differenti. L’eruzione di 109.000 anni fa fu un evento esplosivo, rapido e di elevata energia. Il bradisismo è un fenomeno continuo e lento legato alle variazioni di pressione nel serbatoio magmatico.
Infine, lo studio getta luce sulle dimensioni della eruzione: una esplosione paragonabile all’Ignimbrite Campana, la più nota e massiccia nell’area mediterranea. Ceneri e materiali vulcanici furono dispersi su distanze molto lunghe, a testimoniare la potenza dell’evento e la vasta area d’impatto lontana dall’origine vulcanica.
Il contributo di questo lavoro di ricerca italiano rimodella la storia conosciuta dei campi flegrei e invita a tenere alta l’attenzione sugli sviluppi di questo vulcano dietro le pieghe del tempo.