Il docufilm “Nella colonia penale”, realizzato da Gaetano Crivaro, Silvia Perra, Ferruccio Goia e Alberto Diana su un’idea di Nicola Contini, offre uno sguardo ravvicinato su alcuni tra i luoghi meno noti della detenzione in Sardegna. Ambientato tra Isili, Mamone, Is Arenas e l’ex carcere dell’Asinara, il film documenta la vita quotidiana nelle cosiddette “case di lavoro all’aperto”. Qui i detenuti svolgono diverse attività, alternando il tempo in cella a lavori di coltivazione, allevamento e manutenzione, raccontando un’esperienza di pena che sfugge agli stereotipi classici del carcere.
La vita nelle case di lavoro all’aperto tra lavoro e detenzione
Le case di lavoro all’aperto in Sardegna rappresentano una modalità particolare di esecuzione della pena. I detenuti, spesso migranti, passano molte ore impegnati in attività agricole e di allevamento, mentre il resto del tempo è trascorso nelle celle dell’istituto. Questi luoghi, periferici e isolati, restano poco conosciuti al grande pubblico, e il docufilm si concentra proprio sulla quotidianità fatta di lavori manuali e di una routine che mescola privazione della libertà e impegno fisico.
Complessità dell’esperienza quotidiana
L’esperienza dei detenuti risulta complessa: si muovono all’interno di spazi aperti ma controllati, dove la libertà è limitata ma anche scandita da obblighi e incombenze. Le coltivazioni, l’allevamento degli animali e la manutenzione delle strutture diventano il tessuto su cui si sviluppa questa forma di detenzione. È un ritmo che impone disciplina, ma che lascia sullo sfondo la dimensione umana di chi vive lì, con poche informazioni sulle loro origini e sulle ragioni della loro presenza.
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Un progetto nato in tempo di pandemia con riflessioni sulla libertà
Il lavoro dei quattro registi prende avvio in piena pandemia, periodo in cui il mondo ha conosciuto forti restrizioni e limitazioni di movimento. Quel momento di isolamento diffuso ha suggerito un parallelo tra le case di lavoro e l’eccezione vissuta dalla società. Le restrizioni imposte dal lockdown hanno ricordato lo stato di clausura dei detenuti, facendo emergere un confronto tra la condizione dei carcerati all’aperto e quella della popolazione generale costretta a stare in casa.
Osservazioni durante la scrittura
Durante la fase di scrittura, i registi hanno osservato come nelle carceri ordinarie si stessero verificando rivolte causate dall’isolamento, mentre nelle colonie penali sarde la situazione appariva quasi sospesa. Il fatto che i detenuti lavorassero all’aperto ha offerto una pausa apparente di normalità, ma allo stesso tempo ha messo in luce forme sottili di controllo e restrizione, in bilico tra una condizione lavorativa e quella di prigionia.
Il parallelo tra detenuti e lavoratori salariati nella riflessione dei registi
Uno degli aspetti più rilevanti emersi dal progetto è il confronto tra la condizione del detenuto nelle case di lavoro e quella del lavoratore salariato vissuta nella società. Dedicando attenzione ai compacti meccanismi di controllo e disciplina, il film mette in relazione le due figure, sottolineandone analogie e tensioni.
I detenuti, pur privati della libertà personale, svolgono compiti che assomigliano a quelli del lavoro dipendente, inclusi vincoli, ritmi imposti e sorveglianza costante. Questo confronto, descritto in chiave quasi kafkiana, si riflette sulla percezione stessa di libertà e sfruttamento nelle forme contemporanee di lavoro. La scrittura del film ha subito una revisione proprio per approfondire questo tema, che ha dato energia e un filo conduttore all’intero racconto.
La struttura del docufilm e l’obiettivo di svelare lo sfruttamento codificato
“Nella colonia penale” è un docufilm a episodi, ciascuno realizzato da uno dei registi in diversi luoghi simbolo della Sardegna legati alla detenzione. La scelta di un racconto frammentato ma coerente serve a mettere in evidenza una realtà composita, fatta di spazi e situazioni differenti ma uniti da un unico tema: l’esperienza del lavoro forzato, e la sua collocazione ai margini della società.
Il film cerca di costruire un discorso chiaro sulla natura dello sfruttamento, mostrando come esso si presenti in forme normalizzate, rituali e spesso invisibili. Pur essendo luoghi “fuori dalla società”, le colonie penali riflettono dinamiche di potere e disciplina presenti nella vita di tutti i giorni. Il docufilm, quindi, sposta l’attenzione su un’area poco esplorata, sfidando le rappresentazioni convenzionali e chiamando a guardare da vicino queste realtà lontane ma presenti nella nostra contemporaneità.