Donald trump ricopre oggi due ruoli molto diversi ma intrecciati: quello di presidente degli Stati uniti, appena rieletto per un secondo mandato, e quello di presidente del john f. kennedy center for the performing arts, il principale centro culturale federale di washington. Questa doppia carica segna una svolta netta nella gestione della cultura pubblica a stelle e strisce e anticipa alcune tensioni attese nei prossimi mesi. La nomina di trump alla guida del kennedy center arriva in un momento delicato, con l’amministrazione che porta avanti un attacco deciso verso alcune istituzioni culturali accusate di eccessi «woke».
Il kennedy center e la sua storia nel panorama culturale americano
Il john f. kennedy center, inaugurato nel 1971 durante la presidenza di richard nixon, rappresenta da sempre un punto di riferimento nazionale per le arti performative. È nato da un progetto bipartisan promosso inizialmente dal presidente repubblicano dwight d. eisenhower e completato poi sotto la guida democratica di john f. kennedy, a cui il centro è intitolato dopo il suo assassinio. L’edificio si affaccia sul fiume potomac, nel quartiere di foggy bottom a washington, e ospita eventi di musica, opera e teatro, frequentati ogni anno da migliaia di spettatori. La programmazione è stata tradizionalmente influenzata da posizioni progressiste, soprattutto negli ultimi decenni, con artisti e spettacoli spesso orientati a sinistra.
Orchestre e icone del kennedy center
Il centro ospita orchestre di prestigio come la national symphony orchestra, guidata da gianandrea noseda, e la washington national opera. Le sue sale, decorate con marmi italiani donati dal governo italiano, hanno visto esibizioni di nomi storici come ella fitzgerald, frank sinatra, e leonard bernstein. In tutto questo tempo, il kennedy center è rimasto ufficialmente indipendente dalla politica, riflettendo una concezione della cultura come spazio libero e autonomo. Anche se non si può negare un orientamento culturale prevalente, nessun presidente prima di trump aveva tentato una gestione così diretta o spostato il controllo dell’istituto verso una visione politica precisa.
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La gestione trump: ristrutturazione e nuovi indirizzi politici
Dall’inizio del suo secondo mandato, trump ha imposto una stretta direzione sul kennedy center. A febbraio 2025 ha eliminato l’intero consiglio di amministrazione, guidato da david rubenstein, accusandolo di non condividere la sua «visione di un’età dell’oro nelle arti». La decisione, estremamente radicale, ha sollevato dubbi sulla legittimità legale di questa azione e ha scatenato una serie di battaglie giudiziarie. In ogni caso, il presidente ha dichiarato apertamente che il centro deve riflettere valori patriottici e nazionalisti, ponendosi così in netta contrapposizione all’orientamento progressista degli anni passati.
Nomine chiave e cambi di governance
Il nuovo consiglio d’amministrazione riflette chiaramente questa svolta politica. Tra i membri figurano persone vicine all’amministrazione e alla base maga, come usha vance, moglie del vicepresidente j. d. vance, susie wiles, capo dello staff della Casa Bianca, e la madre di quest’ultima, cheri summerall. Anche dan scavino, ex capo della comunicazione trumpiana, e sergio gor, consulente della Casa Bianca, sono stati inseriti. A capo del consiglio è stato eletto lo stesso trump, che ha affidato la gestione operativa a richard grenell, ex direttore della sicurezza nazionale nella prima amministrazione trump, con esperienza artistica nulla ma grande vicino politico.
Questa riorganizzazione ha comportato tagli significativi al personale dedicato alla programmazione, marketing e comunicazione del centro, con ventuno licenziamenti comunicati in una sola giornata. La programmazione culturale ha subito una riduzione e un cambio di contenuti, per favorire spettacoli più in linea con messaggi nazionalisti e artisti che simpatizzano con il presidente, come il rapper kid rock.
Il kennedy center come laboratorio dell’offensiva culturale più ampia di trump
Il kennedy center non è un caso isolato ma è diventato un laboratorio per la strategia culturale dell’amministrazione trump, che negli ultimi mesi ha rivolto diverse iniziative contro istituzioni educative, media e organizzazioni finanziate federamente. Le università accusate di promuovere ideologie progressiste e reti radiotelevisive come npr e pbs sono finite nel mirino. Nel bilancio federale 2025 si prospetta persino la cancellazione di due enti chiave come il national endowment for the arts e il national endowment for the humanities , casse di finanziamento storiche per l’arte e la cultura in usa.
Anche grandi musei e strutture come lo smithsonian sono sotto pressione e rischiano riduzioni di fondi o interventi legali per motivi di presunte diffamazioni. La strategia include inoltre azioni legali contro testate prestigiose, come cbs, abc e new york times, con richieste di risarcimenti milionari per presunte accuse non gradite al governo. Il kennedy center, tramite il commissariamento e il cambio di governance, anticipa questo orientamento: una presa di controllo diretta e politica su una struttura simbolo, per piegarla a una narrazione nazionale conservatrice e patriottica.
Le implicazioni per la libertà artistica e la programmazione culturale
La scelta di mettere un presidente reazionario a capo di un punto di riferimento culturale come il kennedy center apre interrogativi profondi sul futuro della libertà artistica negli Stati uniti. L’amministrazione trump, con questa mossa, rischia di far coincidere il finanziamento della cultura con una linea politica precisa, escludendo opere o artisti che non si conformano a un modello patriottico e nazionalista. Non si parla semplicemente di gestire un centro, ma di modificare la natura stessa della cultura pubblica.
La cancellazione del board originario e il licenziamento di molti dipendenti sono segnali di una volontà di controllo severo, con un modello che ricorda esperienze di commissariamento in altri ambiti governativi. Cambiare la leadership e il programma, con l’inserimento di nomi molto legati a trump e al mondo maga, segna un cambiamento nella filosofia e nell’orientamento degli spettacoli proposti. Questo può ridurre l’offerta culturale e l’eterogeneità e mettere in secondo piano quel pluralismo artistico che il kennedy center ha ospitato fin dalla nascita.
Il centro oggi affronta una fase di incertezza sul piano organizzativo e contenutistico. Non è chiaro se la nuova gestione terrà conto delle esigenze artistiche genuine o punterà solo a uno spettacolo di propaganda politica. Il pubblico, fino a ieri abituato a trovare nei teatri del kennedy center una proposta ampia e articolata, si troverà di fronte a un cartellone più limitato e ideologicamente orientato. La trasformazione in atto non riguarda solo questo polo culturale ma rappresenta un segnale che fa comprendere i cambiamenti che stanno investendo l’intero sistema culturale americano sotto il secondo mandato trump.
Il john f. kennedy center è diventato così terreno di un confronto che va ben oltre l’arte e la musica, rappresentando la frontiera di uno scontro politico e culturale molto più ampio che coinvolge la libertà di espressione, il finanziamento pubblico e la direzione ideologica degli spazi destinati alla cultura pubblica.