Tribunale Di torino assolve 13 attivisti per occupazione casa cantoniera di oulx trasformata in presidio umanitario

Tribunale Di Torino Assolve 13

Attivisti assolti per l’occupazione della casa cantoniera di Oulx trasformata in presidio umanit - Gaeta.it

Sofia Greco

10 Settembre 2025

L’occupazione di un edificio abbandonato può configurare un reato, ma la recente sentenza del Tribunale di Torino chiarisce che in presenza di situazioni di emergenza umanitaria la giustizia può escludere la punibilità. Tredici attivisti coinvolti nell’occupazione della casa cantoniera di Oulx, adibita a rifugio per migranti in transito verso la Francia, sono stati assolti con motivazioni basate sullo stato di necessità. La vicenda riporta al centro del dibattito la gestione dell’accoglienza nelle zone di confine, coinvolgendo aspetti legali e umanitari.

La sentenza del tribunale di Torino e il richiamo all’articolo 54 del codice penale

Il Tribunale di Torino, con la decisione presa dal giudice monocratico Giulia Casalegno, ha assolto tredici attivisti imputati per aver occupato la casa cantoniera di Oulx, ribattezzata “Chez JésOulx”. La motivazione si fonda sul principio dello stato di necessità previsto dall’articolo 54 del Codice penale. Secondo questa norma, chi commette un reato per evitare un danno grave alla persona propria o altrui non può essere punito.

La sentenza si inserisce in una linea già tracciata dalla Corte d’Appello nel novembre precedente, che aveva assolto altri diciannove imputati in un primo filone del processo relativo alla stessa vicenda. L’occupazione di un edificio pubblico e abbandonato viene quindi descritta come una scelta obbligata, dettata dall’urgenza di salvare vite umane in condizioni disperate. Il tribunale ha riconosciuto che l’azione degli attivisti non era motivata da interessi personali o illeciti, ma da un’esigenza immediata di protezione e assistenza verso migranti vulnerabili.

Condizioni critiche nella Valle Di Susa e l’inadeguatezza delle strutture ufficiali

L’occupazione della casa cantoniera di Oulx è avvenuta in un contesto caratterizzato da situazioni di grave emergenza sociale e umanitaria. L’edificio dell’Anas, inutilizzato da anni e ubicato lungo la Statale 24, è stato trasformato in un luogo di rifugio a partire dal 2018. In quei periodi, la pressione dei flussi migratori in transito verso la Francia era molto alta, mentre le strutture ufficiali della zona non garantivano né posti sufficienti né un’accoglienza adeguata.

Ad esempio, a Bardonecchia c’erano soltanto due posti letto disponibili, insufficienti rispetto ai continui arrivi. Il rifugio Massi poteva ospitare una ventina di persone massimo, ma solo per il pernottamento, senza alcun servizio di assistenza continuativa. La capacità totale di accoglienza risultava estremamente limitata rispetto ai numeri giornalieri dei migranti, provenienti in particolare dalla rotta balcanica.

Queste condizioni hanno tradotto un problema locale in un’emergenza permanente. La mancanza di strutture ha lasciato molte persone senza protezione di notte, esposte al freddo intenso della zona montana e a rischi concreti per la loro incolumità fisica. Questa situazione ha spinto gli attivisti a mettere in atto iniziative autonome di accoglienza e soccorso, nonostante la carenza di autorizzazioni formali.

L’importanza dell’attività degli attivisti documentata e riconosciuta dal tribunale

Il processo ha messo in luce l’attività quotidiana svolta dagli attivisti presso la casa cantoniera occupata. Le telecamere installate dalla Digos hanno raccolto immagini della loro operatività, che si è concretizzata nella distribuzione di cibo, vestiti e cure mediche di base. Si è trattato di un impegno diretto nella gestione delle persone migranti, finalizzato a garantire un minimo di dignità e sicurezza in condizioni altrimenti critiche.

La documentazione raccolta ha convinto i giudici a considerare esclusivamente umanitaria la finalità dell’occupazione, escludendo dunque motivazioni di carattere illecito o speculativo. Le testimonianze e le immagini hanno mostrato che la scelta di aprire e adibire a rifugio uno stabile in disuso ha salvato vite esposte a freddo, fame e altri pericoli tipici dell’ambiente montano.

Nel corso degli anni, infatti, sono stati registrati almeno quindici morti tra i migranti lungo la rotta alpina, causati da assideramento, mancanza di alimenti o incidenti sulle montagne. La sentenza riconosce che in assenza di interventi concreti come quello della “Chez JésOulx” la situazione si sarebbe aggravata ulteriormente.

L’intervento dell’anas e il valore simbolico della sentenza sul piano giuridico e sociale

Anas si era costituita come parte civile nel processo, difendendo la titolarità dello stabile occupato. La sentenza del Tribunale di Torino però conferma che, in scenari eccezionali come quello dell’alta Valle di Susa, lo sfruttamento di un edificio vuoto per dare rifugio a persone in pericolo non può essere considerato un crimine.

La decisione rappresenta un punto di svolta, che supera il semplice caso giudiziario per assumere un significato più ampio nei confronti delle politiche di accoglienza e del diritto civile. La vicenda, iniziata nel 2018, ha assunto un valore simbolico nel confronto tra obblighi istituzionali, solidarietà attiva e necessità di tutela della vita.

Al centro rimane la questione della risposta a fenomeni migratori in territori particolari, dove le istituzioni non riescono a garantire coperture sufficienti. Da questa sentenza emergono spunti concreti per il dibattito su come conciliare la tutela dei diritti con l’interpretazione delle norme penali nei casi in cui la sofferenza umana diventa un elemento predominante.