Sentenza Antitrust Usa: Google salva Chrome e Android, ma stop agli accordi esclusivi

Sentenza Antitrust Usa3A Google

Antitrust Usa blocca accordi esclusivi di Google, ma Chrome e Android restano salvi - Gaeta.it

Laura Rossi

3 Settembre 2025

Una sentenza recente di un giudice federale americano ha segnato un passo importante nella battaglia legale tra il governo e Google, controllata da Alphabet, accusata di monopolio nel mercato dei motori di ricerca. Il giudice ha respinto la richiesta di Washington di costringere l’azienda a cedere asset chiave come Chrome e Android, ma ha imposto limiti stringenti su alcune pratiche commerciali, in particolare sugli accordi esclusivi e sulla condivisione dati con i concorrenti.

Il giudice Mehta dice no alla cessione di Chrome e Android, ma taglia gli accordi esclusivi

Nel 2025 arriva un verdetto importante firmato dal giudice Amit Mehta. Il magistrato ha respinto la richiesta del Dipartimento di Giustizia Usa che puntava a far separare da Google prodotti fondamentali come Chrome e Android. Nella sentenza, lunga 230 pagine, Mehta sottolinea che il governo ha “esagerato” chiedendo una cessione forzata di queste risorse, aggiungendo che Google non ha usato questi asset per mettere in campo pratiche illegali che danneggino la concorrenza.

Detto questo, la corte ha comunque messo dei paletti. Google non potrà più stringere accordi esclusivi per distribuire i suoi servizi chiave, come la ricerca, il browser Chrome e il software di intelligenza artificiale Gemini. Significa che non potrà più firmare contratti simili a quelli multimiliardari con Apple o Mozilla, che prevedono la preinstallazione esclusiva dei servizi Google su dispositivi come iPhone o nel browser Firefox. Rimangono però permessi accordi commerciali che prevedano pagamenti per la presenza predefinita dei servizi Google, purché non siano esclusivi.

Dietro le quinte: Apple e Mozilla e i loro accordi con Google

I documenti emersi durante il processo spiegano bene l’entità degli accordi che mantengono Google al centro dei dispositivi più usati. Apple, ad esempio, ha incassato decine di miliardi di dollari per mantenere Google Search come motore di ricerca predefinito su iPhone. Anche Mozilla si affida a un accordo simile per tenere Google Search su Firefox, una fonte importante di finanziamento per lo sviluppatore del browser.

Questi legami, ora limitati e sotto stretto controllo antitrust, mostrano come Google abbia rafforzato la sua posizione dominante mantenendo rapporti stretti con i principali produttori di hardware e software. Negli Stati Uniti, a differenza dell’Unione Europea, non c’è l’obbligo per gli utenti di scegliere il motore di ricerca al primo avvio di un dispositivo o di un’app, una scelta che qui resta esclusa dalla sentenza.

Google dovrà condividere i dati con i concorrenti

Una delle condizioni più significative imposte dal giudice riguarda la condivisione obbligatoria di dati chiave con i concorrenti. Google dovrà aprire l’accesso a parti dell’indice di ricerca che costruisce scansionando il web, oltre a fornire dati sulle interazioni degli utenti all’interno del motore di ricerca.

Questo flusso di informazioni punta a sostenere lo sviluppo di motori di ricerca alternativi come Bing e DuckDuckGo, entrambi legati a Microsoft, ma anche aziende del settore dell’intelligenza artificiale come OpenAI, creatore di ChatGPT. L’accesso a questi dati è fondamentale per riequilibrare il mercato digitale e permettere a nuovi prodotti di sfidare il predominio di Google.

La lunga battaglia contro Google e cosa succede ora

La causa, che si svolge a Washington, arriva dopo un giudizio del 2024 che aveva riconosciuto a Google una posizione monopolistica nel campo della ricerca online. In quella fase erano state evidenziate pratiche anticoncorrenziali, come la difesa del proprio dominio tramite accordi esclusivi e il controllo dei dati.

Il processo attuale riguarda le conseguenze di quella sentenza e le misure restrittive da adottare. Google ha già annunciato l’intenzione di fare ricorso, allungando così la disputa legale. Nel frattempo, i mercati hanno reagito positivamente: le azioni Alphabet sono salite del 7% e quelle Apple del 3% nel trading after-hours.

Le restrizioni imposte vogliono riequilibrare la posizione di Google, lasciando intatti i suoi asset principali ma limitando l’uso strategico del potere commerciale che ha accumulato. Questi sviluppi saranno decisivi per il futuro della competizione nel mondo digitale americano.