Gli studi recenti indicano che la nostra galassia, la Via Lattea, potrebbe ospitare un numero sorprendente di pianeti simili alla Terra. Secondo dati raccolti tra il 2010 e il 2018 dalla missione Kepler della NASA, astronomi canadesi dell’Università della Columbia Britannica hanno stimato l’esistenza di più di 6 miliardi di pianeti rocciosi situati nelle cosiddette zone abitabili, cioè alla distanza ideale dalla loro stella per mantenere acqua liquida. Questi corpi celesti girerebbero attorno a stelle simili al Sole e avrebbero dimensioni prossime a quelle terrestri, condizioni fondamentali per ipotizzare la possibilità di vita. La ricerca segna un passo importante nella comprensione della distribuzione degli esopianeti e dei loro caratteri.
I criteri per considerare un pianeta simile alla terra
Per definire un pianeta “simile alla Terra” gli astronomi hanno adottato parametri ben precisi. Innanzitutto, deve essere di natura rocciosa, escludendo quindi i pianeti gassosi tipo Giove o Nettuno. La sua dimensione deve rientrare in un range limitato vicino a quella del nostro pianeta, evitando eccessi o difetti rilevanti nel diametro che possano influenzarne la composizione e l’atmosfera. Altro requisito fondamentale riguarda la stella attorno cui orbita: solo orbite intorno a stelle di tipo G, come il Sole, sono state considerate. La posizione del pianeta all’interno della “zona abitabile” è essenziale, cioè quella fascia orbitale dove la temperatura permette la presenza di acqua liquida senza che questa si congeli o evapori completamente. Questa combinazione di fattori consente di restringere il campo a esopianeti potenzialmente in grado di ospitare condizioni ambientali simili alle nostre.
Quantità gigantesca ma difficile da rilevare
Stime precedenti sull’esistenza di pianeti abitabili sono state molto variabili: alcuni studi indicavano meno di uno, in media 0,02 pianeti per stella simile al Sole, mentre altri arrivavano fino a uno per stella. La difficoltà maggiore sta proprio nel rilevare esopianeti di piccole dimensioni e con orbite lontane dalla propria stella. Il metodo più usato è quello del transito, che registra la diminuzione di luminosità di una stella quando un pianeta passa davanti, ma pianeti molto piccoli o con periodi di rivoluzione lunghi provocano segnali deboli e poco frequenti. Per aggirare questo problema, il gruppo della Columbia Britannica ha utilizzato una tecnica chiamata “modellazione in avanti”: si simula un campione di pianeti ipotetici e si compara il modello con i dati raccolti per stimare la popolazione reale. Questo processo ha permesso di dedurre una presenza molto più ampia di pianeti simili alla Terra di quanto i dati diretti suggerissero.
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Il fenomeno del radius gap tra gli esopianeti
Un aspetto investigato riguarda il cosiddetto “radius gap”, ovvero una lacuna nei dati relativi alle dimensioni di certi pianeti. Secondo la ricerca, i pianeti che orbitano in meno di 100 giorni attorno la loro stella difficilmente hanno un raggio compreso tra 1,5 e 2 volte quello terrestre. Questo vuoto indica che i pianeti tendono a essere o più piccoli e rocciosi, simili alla Terra, o più grandi e più simili a mini-Nettuni con atmosfere importanti. Prima si riteneva che questa divisione coinvolgesse periodi orbitali più ampi, ora si è capito che il “gap” è confine più preciso e ristretto. Il motivo di questo fenomeno è legato alle interazioni tra le radiazioni stellari e l’atmosfera planetaria, che possono spogliare i pianeti di alcuni strati gassosi, modificandone la composizione e la dimensione apparente. Le indagini su questo tema proseguono perché aiutano a capire meglio la formazione e l’evoluzione dei pianeti extrasolari.
Una nuova prospettiva sulla nostra galassia
Le nuove stime cambiano radicalmente la percezione del numero di pianeti con caratteristiche potenzialmente simili alla Terra nella Via Lattea. Se il rapporto di un pianeta simile ogni cinque stelle di tipo solare è corretto, allora si arriverà a cifre superiori ai 6 miliardi. Questo implica che esistano numerosi mondi dove la presenza di acqua e forse condizioni adatte alla vita potrebbero essere presenti. Le scoperte basate sui dati Kepler e l’applicazione di metodi innovativi nel trattamento delle osservazioni aprono nuove linee di ricerca in astrobiologia e astronomia. Seguire l’evoluzione di questi studi resta cruciale per capire se la Terra sia unica o inserita in un quadro molto più vasto e popolato.