Pisa ospita una mostra dedicata ai cavalieri di santo stefano, un ordine poco noto che ha segnato la storia della marina toscana a partire dal 1562. Nelle sale dell’Archivio di stato si possono ammirare documenti originali, divise, carte nautiche e persino la rarissima pergamena con il primo statuto redatto da cosimo i granduca di toscana. La rassegna racconta di una realtà che ha avuto un ruolo militare e politico lungo quasi tre secoli, difendendo le rotte mediterranee e partecipando a battaglie cruciali, mentre componeva una storia intrecciata con la nobiltà e la politica europea.
La nascita dell’ordine e la figura di cosimo i granduca di toscana
Nel 1562, sotto l’impulso di cosimo i, duca di firenze e siena, nasceva l’ordine militare dei cavalieri di santo stefano. L’idea fu concessa da papa pio iv, autorizzando la formazione di un corpo di nobili marinai con il compito di proteggere le coste toscane e il mediterraneo dai pirati e dalle incursioni degli infedeli. L’ordine nacque con un preciso scopo politico per rafforzare la posizione di cosimo i, membro di un ramo collaterale dei medici. La nascita di questo esercito personale poteva contare su un mix di rigore militare e strategia diplomatica capace di stringere alleanze con le famiglie più importanti della nobiltà europea. Il primo statuto, redatto su pergamena, definiva le regole e le funzioni dell’ordine, ponendo le basi per la sua attività.
Quartier generale e sedi strategiche
Il quartier generale fu stabilito a pisa, in antichi palazzi della repubblica marinara trasformati dall’architetto giorgio vasari per esprimere il potere mediceo. Pisa e livorno erano scelte strategiche: qui si trovavano i porti dove attraccavano le navi, simbolo dell’autonomia dell’ordine rispetto al governo di firenze. I giovani nobili, provenienti da diverse regioni italiane e da altre corti europee, venivano reclutati a partire dai 17 anni. L’addestramento comprendeva lezioni di geometria, cosmografia, cartografia e l’uso delle armi da punta e da fuoco, per prepararli a difendere le acque del mediterraneo.
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Il ruolo militare dell’ordine e le sue classi di appartenenza
L’ordine di santo stefano svolse un’attività militare rilevante tra il XVI e il XVIII secolo. I suoi cavalieri parteciparono a operazioni come la difesa di malta durante l’assedio turco e alla storica battaglia di lepanto, dove l’impegno di questa flotta fu decisivo per tenere a freno le minacce ottomane. Nel tempo, l’organizzazione si articolò in tre classi distinte, a cui appartenevano anche giovani provenienti da regioni come campania, lombardia, marche ed emilia, in aggiunta alla nobiltà toscana.
Crescita numerica e caratteristiche sociali
Il numero di ufficiali passò da circa 60 nei primi anni, durante il governo di cosimo i, a oltre 1400 nel secolo successivo. Questo sviluppo ha fatto sì che molti storici considerino questo gruppo la prima marina nazionale italiana dell’età moderna. L’ordine univa così funzioni militari a un sistema di prestigio sociale e politico. Le regole di ammissione richiedevano quattro quarti di nobiltà, ma era possibile accedere pagando una commenda in denaro, una sorta di tassa che consentiva anche a chi non aveva la purezza nobiliare di entrare nell’ordine. I cavalieri godevano di privilegi fiscali e la loro adesione poteva servire a proteggere il patrimonio della famiglia, poiché lasciavano in eredità la maggior parte dei beni all’ordine.
La vita quotidiana nell’ordine e le presenze femminili
La vita all’interno dell’ordine prevedeva non solo l’addestramento militare ma anche un complesso apparato amministrativo e sociale. Nel centro di pisa, accanto alle aule dedicate alla formazione si trovavano uffici, un ospedale e una chiesa. Quest’ultima custodisce ancora oggi opere di artisti come bronzino e vasari, testimonianza della ricchezza culturale che accompagnava l’ordine.
Un aspetto meno noto riguarda la presenza femminile all’interno dell’organizzazione. Eleonora di toledo, moglie di cosimo i, istituì una particolare categoria di donne nobili, chiamate “monache cavaliere”. Queste avevano un abito caratteristico con la croce da cavaliere e svolgevano ruoli religiosi e sociali, alloggiando nei palazzi accanto agli uomini. La loro esistenza testimonia una dimensione più complessa della vita nell’ordine, che si estendeva oltre il semplice esercizio delle armi.
La scelta di pisa e livorno per le sedi principali indicava una volontà di mantenere l’ordine distinto dal potere fiorentino. Questa autonomia rifletteva anche i rapporti con il papa e l’imperatore di spagna, che riconoscevano l’ordine come un movimento politico-militare di rilievo. Regole di convivenza e discriminazioni sociali delineavano un mondo rigido e organizzato, con alcune norme singolari, come la possibilità consentita a certi cavalieri di avere più mogli vergini o vedove, secondo le interpretazioni dei sacri canoni.
L’eredità storica e documentale dell’ordine nei secoli successivi
Cosimo i morì nel 1574, ma l’ordine dei cavalieri di santo stefano proseguì il suo percorso fino alla metà del XIX secolo. Il 1859 segnò una svolta quando il granducato di toscana passò ai sabaudi e l’ordine fu soppresso per motivi patrimoniali. I suoi beni vennero trasferiti allo stato, mentre l’istituzione continuò a esistere con funzioni simboliche come ente onorifico.
Nonostante il suo ruolo storico, molti aspetti dell’ordine restano poco noti e sorvegliati negli archivi. L’archivio di stato di pisa conserva oltre un milione e mezzo di documenti relativi a tre secoli di attività. Questi includono lettere, atti amministrativi e testimonianze, molte delle quali ancora da esplorare nello specifico. Studi recenti, come quello presentato a roma insieme alla marina militare e all’istituzione dei cavalieri, offrono una prima analisi confrontando documenti storici fondamentali come i due statuti originali.
La mostra pisana rappresenta un’occasione per far conoscere questa storia dietro le quinte, perché i cavalieri di santo stefano restano parte di una memoria collettiva che svela legami fra potere, nobiltà e difesa militare nel mediterraneo dell’epoca moderna. Il patrimonio custodito nei documenti è un invito a rivedere una pagina poco raccontata della storia italiana e marittima.