Il patrimonio costiero italiano si presenta come un mosaico articolato in cui oltre 3.000 chilometri di spiagge risultano concessi in gestione privata su un totale di circa 8.000 chilometri di costa. Sono attive più di 12.000 concessioni balneari che si configurano come fonti di ingenti guadagni per i concessionari, spesso versando canoni annuali molto bassi allo Stato. Questa situazione genera tensioni ed è al centro di un dibattito acceso su accesso libero e regolamentazione del demanio marittimo. La pressione esercitata da una solida lobby spinge a mantenere uno status quo, rallentando iniziative di liberalizzazione richieste a livello europeo. Il contesto è complesso e mette in rilievo le difficoltà nella gestione efficace delle spiagge, tra istanze pubbliche e interessi privati.
La distribuzione delle concessioni balneari lungo la costa italiana
Il quadro della gestione delle spiagge italiane vede una forte concentrazione di concessioni private, con oltre 3.000 chilometri di litorale destinati a stabilimenti balneari e strutture ricettive in concessione. Su un totale di ottomila chilometri di costa, poco meno della metà delle aree balneari è occupata da gestioni private. Secondo fonti recenti, il sistema delle concessioni coinvolge più di 12.000 titolari, tra stabilimenti e servizi collegati, generando ricavi consistenti soprattutto nella stagione estiva.
Le concessioni sono concesse dietro il versamento di canoni generalmente contenuti, mediamente intorno a 2.000 euro all’anno, un importo irrisorio se paragonato ai guadagni che questi stabilimenti riescono a realizzare nei mesi di maggiore afflusso turistico. Questo differenziale economico crea disuguaglianze fra gestori e limita l’accesso libero alle spiagge, malgrado la normativa vigente stabilisca che almeno a cinque metri dalla battigia i cittadini debbano poter usufruire liberamente della spiaggia stessa.
La situazione risulta ulteriormente complicata dal fatto che la restante parte della costa, oltre agli stabilimenti in concessione, non è tutta considerata spiaggia libera, ma spesso ricade in altre forme di delimitazione o appartenenza. In questo scenario, la distinzione tra pubblico e privato diventa sfumata, dando origine a contenziosi e controversie relative al diritto di accesso e al corretto utilizzo degli spazi demaniali.
La lobby dei concessionari e il loro ruolo nel mantenere lo status quo
I concessionari delle spiagge italiane costituiscono una lobby ben organizzata e attiva che esercita una pressione significativa sulle decisioni governative. Non si tratta di un insieme eterogeneo ma di un gruppo determinato a conservare condizioni vantaggiose, puntando a limitare la concorrenza e a difendere le concessioni esistenti. Nonostante le ripetute richieste da parte dell’Europa di liberalizzazione delle spiagge, il governo italiano appare in difficoltà nel prendere decisioni incisive, in parte per il peso che questa lobby riesce a esercitare.
Questi operatori pagano canoni ridotti alla pubblica amministrazione e ottengono profitti elevati durante il periodo di operatività, innescando un sistema poco equo. La lobby utilizza argomentazioni difensive che giustificano l’attuale modello, sottolineando aspetti come il controllo del sovraffollamento delle spiagge o la tutela dell’offerta turistica, ma senza affrontare direttamente le problematiche di accesso libero e concorrenza.
Parallelamente, la legge prevede che la spiaggia rimanga libera almeno in una fascia di cinque metri dalla linea di battigia, un vincolo che spesso non è rispettato, con gestori che ostacolano il passaggio verso le aree pubbliche forzando i bagnanti a transitare attraverso le strutture private. Questo comportamento viola la “servitù prediale” prevista dall’ordinamento, che impone l’accesso pubblico agli spazi demaniali anche quando si trovano a ridosso di proprietà private.
Il contrasto tra regolamentazione, controlli e abusi lungo le coste
Le autorità regionali e la Guardia costiera stanno rafforzando le attività di controllo per contrastare abusi e occupazioni illegali degli spazi demaniali marittimi, particolarmente in regioni come la Sicilia. Questi interventi mirano a tutelare sia i bagnanti sia gli operatori regolari, soprattutto piccole imprese a conduzione familiare che si trovano ad affrontare situazioni di concorrenza sleale e abusi da parte di soggetti che trattano le concessioni quasi come proprietà privata.
Tuttavia, la vigilanza incontra ancora ostacoli legati alla difficoltà di applicare efficacemente le normative, all’assenza di strumenti di controllo adeguati e alla lentezza nel rinnovare le convenzioni. La complessità del sistema e la presenza di interessi forti ritardano la definizione di un quadro chiaro e funzionale.
Recenti sentenze, come quella della Corte Costituzionale che ha dichiarato incostituzionali alcune disposizioni regionali volte a limitare la concorrenza, riaffermano la competenza esclusiva dello Stato in materia di concessioni balneari. Ciò lascia aperta la strada a possibili riforme ma, al netto delle condizioni concrete, il settore rimane caratterizzato da una situazione di stallo che penalizza l’accesso gratuito e l’uso sostenibile delle spiagge italiane.
Lo scenario che coinvolge il patrimonio delle spiagge italiane resta dunque segnato da una forte presenza di concessioni private affidate a una rete consolidata di gestori, che hanno costruito un sistema in cui il vantaggio economico si accompagna a pressioni politiche e sociali per mantenere un controllo solido sul territorio. Il delicato equilibrio tra diritti pubblici, interessi commerciali e sostenibilità rimane al centro di un dibattito destinato a proseguire negli anni a venire.