La vicenda dell’omicidio di Chiara Poggi, avvenuto il 13 agosto 2007 a Garlasco, torna al centro dell’attenzione dopo il recente provvedimento dei pubblici ministeri di Pavia. Al centro del dibattito c’è un’impronta palmare trovata sulla parete delle scale della villetta, indicata come “impronta 33“. La procura ha rigettato la richiesta di eseguire nuovi accertamenti biologici su questa traccia, sostenendo l’impossibilità tecnica di procedere, alimentando così ulteriori questioni sulla ricostruzione dei fatti e sulle responsabilità.
Il contesto dell’impronta 33 e la richiesta dei legali
L’impronta palmare 33, rinvenuta sulla scaletta interna alla villetta di Garlasco dove Chiara Poggi fu trovata morta, rappresenta da tempo un elemento di spicco nelle indagini. I legali della famiglia Poggi avevano chiesto un incidente probatorio per eseguire accertamenti biologici su quella traccia, convinti della sua importanza per determinare la presenza di sangue o altri fluidi biologici. L’ipotesi è che si tratti di un’impronta della mano destra sporca di sangue, cosa che per loro potrebbe chiarire la catena degli eventi.
La difesa di Alberto Stasi, condannato a 16 anni per l’omicidio, ha avuto un’opinione simile. In tribunale si è parlato di un’impronta “densa di materiale biologico, ipoteticamente sangue, da sottoporre a ulteriori esami”. Questi elementi avrebbero potuto influenzare la situazione processuale, vista la rilevanza dell’area in cui il segno è stato trovato e l’interpretazione della sua origine. Ma le autorità giudiziarie non hanno accolto queste richieste e motivo lo vedremo.
Leggi anche:
Il respingimento della procura con motivazioni tecniche e investigative
Il 2 luglio 2025 la procura di Pavia ha pubblicato un provvedimento ufficiale nel quale rigetta espressamente la richiesta di analisi sull’impronta 33. Il documento spiega che l’intonaco dalla parete, sul quale si trovava la traccia, è già stato completamente utilizzato per indagini biologiche nel passato. Queste analisi furono effettuate nel 2007 con tecniche come la reazione alla ninidrina, che è un inibitore della possibilità di eseguire ulteriori test simili.
Il tenente colonnello Alberto Marino del Ris di Parma ha confermato, in un’audizione dello scorso giugno, che il materiale raccolto già a suo tempo è tutto consumato nei vari test. La procura rimanda a una relazione interna risalente al 15 ottobre del 2007 in cui l’impronta fu sottoposta a uno degli esami più affidabili per la ricerca di sangue umano , il quale diede esito negativo. Questo dato smentisce quindi l’ipotesi che si trattasse davvero di un’impronta insanguinata, come avanzato in passato da alcune difese.
Un altro passaggio rilevante riguarda la fialetta contenente il materiale grattato dalla parete. Nel giugno 2025, durante una perquisizione dei reperti custoditi dal Ris di Parma, quella fialetta non è stata trovata. Quindi non c’è possibilità tecnica di ripetere analisi, nemmeno su copie o campioni del materiale. La procura conferma che l’unico supporto residuo è costituito da una fotografia dell’impronta, insufficienti per esami biologici.
Le divergenze degli esperti su origine e attribuzione dell’impronta
Il ruolo dell’impronta 33, oltre agli aspetti tecnici, resta controverso anche sotto il profilo dell’identificazione delle persone coinvolte. Secondo la procura e la difesa di Alberto Stasi, l’impronta potrebbe essere riconducibile ad Andrea Sempio, un indagato inserito nel nuovo fascicolo aperto nei mesi scorsi. L’ipotesi che Sempio abbia avuto un ruolo nel delitto è ancora in fase d’accertamento.
I consulenti di Sempio e della famiglia Poggi, invece, non riconoscono la traccia come appartenente al nuovo indagato. Contestano anche la possibilità di datazione, ritenendola un’impronta generica e non collegabile a un momento preciso. Questo scontro di opinioni rende complicato chiarire il valore di questa prova e la sua incidenza nel processo.
Il destino dell’impronta e le analisi già svolte
La questione dell’impronta rimane quindi aperta sotto vari aspetti, ma la strada per nuovi esami sembra chiusa. Le analisi più decisive sono state già svolte, mentre il reperto originale si è perso, impedendo ogni accertamento successivo. Restano le fotografie e le interpretazioni di esperti che dovranno essere valutate nel contesto complessivo delle altre evidenze.
Il caso Poggi, a distanza di quasi 18 anni, continua a suscitare attenzione per i dettagli dell’indagine, ma la procura di Pavia ha chiarito senza appello che sulle impronte palmari non sarà possibile tornare indietro. Sarà dunque la magistratura a decidere come muoversi, con i pochi elementi rimasti, fra testimonianze, perizie e ricostruzioni processuali.