L’Ischia film festival torna dal 28 giugno al 5 luglio 2025 con la 23ma edizione dedicata al tema “location negata“. Tra le mura suggestive del Castello Aragonese, sette lungometraggi e sette cortometraggi mostrano situazioni legate ai diritti umani e ai luoghi spesso ignorati dai media. Una scelta che amplifica il ruolo del cinema non solo come narratore di storie, ma come specchio critico della società.
Il significato del tema location negata e la visione del festival
Il direttore artistico Michelangelo Messina definisce il cinema come un insieme di spazi e luoghi da abitare e vivere. Questi spazi però non sono solo scenari, ma componenti vitali per ragionare sulle contraddizioni e le fratture che attraversano le nostre vite. Il tema location negata non è solo una sezione marginale del festival, ma un contenitore di prospettive diverse che mettono in luce angoli rimasti troppo a lungo silenziosi.
Nel contesto della rassegna, i luoghi negati evocano contesti urbani, periferie abbandonate, territori segnati da guerre e ingiustizie, spazi che perdono senso ma che mantengono una forte presenza nell’immaginario di chi li attraversa. Il festival si conferma quindi come laboratorio di racconti che esplorano ciò che sfugge al racconto comune.
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I cortometraggi: l’infanzia e l’adolescenza in contesti trascurati
Tra i sette cortometraggi in gara, si ritrova un filo comune legato al mondo dell’infanzia e dell’adolescenza, con particolare attenzione a come questi spazi dimenticati influenzano vite fragili. In “Lima” di Giulia Bettaglio, la zona scelta è la metropolitana di Milano e le periferie che raccontano una quotidianità segnata da isolamento ed esclusione sociale. Qui la lotta per la sopravvivenza diventa visibile attraverso lo sguardo dei giovani protagonisti.
Un altro tema difficile emerge in “Amusement Park” di Egidio Prudenzano, dove i cantieri nascosti della Cina diventano uno scenario quasi desertico e inospitale. Il deserto di cemento e acciaio racconta l’assenza di certezze e la fatica di esistere in un sistema spesso invisibile.
Atmosfere analoghe si trovano in “Clear Sky” di Marcin Kundera, che mette a fuoco le ferite della guerra e i vuoti di senso derivati dalla distruzione delle comunità. Anche “Ya Hanouni” mostra come il conflitto irrompa senza preavviso nella vita quotidiana, travolgendo case e persone senza appello.
Altre opere come “Neverland” di Jin Hongde e “The Past Is Calling” di Perla Geagea raccolgono le sensazioni di sospensione e disagio legate a luoghi dove la violenza familiare e personale lascia tracce profonde. Questa selezione riflette il tentativo di cogliere il vissuto intimo dei giovani in ambienti difficili.
I lungometraggi: storie tra impegno civile e memoria storica
I sette film lunghi offrono uno spaccato che coniuga narrazioni con temi sociali e elementi stilistici originali. “A Man Fell” di Giovanni C. Lorusso si svolge all’interno del Gaza Hospital di Sabra, ritraendo un luogo segnato dall’abbandono e dalla fragile speranza. Il film esplora i limiti quotidiani di chi vive in un contesto ostile, dove il futuro sembra incerto.
“spiaggia di vetro” di Will Geiger, ambientato in Sicilia, restituisce l’immagine di un territorio di confine, sospeso tra i flussi migratori e un limbo sociale difficile da interpretare. L’opera mette in evidenza il ruolo della Sicilia come punto di passaggio e di attesa per molte vite.
L’attenzione alle frontiere si conferma anche in “Silent Trees” di Agnieszka Zwiefka, che racconta in forma di romanzo di formazione i giorni al confine tra Polonia e Bielorussia. Questa zona diventa palco di tensioni che intrecciano percorsi personali e fatti di cronaca recente.
“Oceania” affronta il tema dell’esodo ambientale, mostrando le vicende di popolazioni costrette a lasciare le loro isole sommerse dalle acque. Il film porta alla luce una realtà sempre più attuale, dove i cambiamenti climatici producono spostamenti forzati.
Non mancano dimensioni storiche e riflessioni sull’identità in “Obraz” del montenegrino Nikola Vukcevic, che propone una saga con uno sguardo umanistico profondo. Al contrario, “Prison Beauty Contest” di Sdran Sarenac usa la metafora di un concorso di bellezza per raccontare il conflitto e la ricerca di un senso nuovo della vita all’interno di situazioni difficili.
A chiudere la selezione, “Por tu bien” di Axel Monsù osserva riti e tradizioni da una prospettiva che apre la possibilità a forme di emancipazione femminile e sociale, con uno sguardo attento alle dinamiche locali e personali.
Il contesto e la rilevanza della rassegna nel 2025
La scelta di dedicare un’intera sezione a “location negata” riflette le sfide che attraversano numerosi paesi, segnati da guerre, migrazioni, marginalità e cambiamenti ambientali. Attraverso storie che si svolgono in luoghi difficili da raccontare o dimenticati, l’Ischia film festival offre una bacheca di esperienze visive che invitano a riflettere sull’impatto di queste realtà sulle vite delle persone.
La selezione mette in fila testimonianze contrastanti ma complementari, che partono dalla geografia per entrare nella storia e nella psicologia di chi quei territori li attraversa o li subisce. I film in programma agiscono come strumenti per osservare ciò che spesso sfugge alle cronache tradizionali, mettendo a fuoco i retroscena umani di contesti complessi.
Lo spazio unico del Castello Aragonese diventa così una platea per questi sguardi, a suo modo un luogo riconquistato da narrazioni che vuole restituire attenzione e valore a ciò che i media hanno lasciato in ombra. In questa cornice, cinema e territorio si intrecciano per raccontare storie di resistenza, fragilità e possibilità.