Nel comune di Pescate, in provincia di Lecco, si è verificato un caso che ha fatto discutere la cittadinanza e il requisito della conoscenza della lingua italiana. Il sindaco Dante De Capitani ha rifiutato di concedere la cittadinanza italiana a un uomo di origine kosovara che vive in Italia da dieci anni. Nonostante la residenza e i documenti in regola, il motivo ufficiale del diniego è la mancata capacità dell’uomo di leggere e pronunciare correttamente il testo previsto per l’ottenimento della cittadinanza.
La mancata conoscenza dell’italiano nonostante i corsi certificati
L’uomo in questione, immigrato dal Kosovo, risiede a Pescate da dieci anni, periodo durante il quale ha svolto attività lavorativa regolare. La sua posizione amministrativa è stata confermata dalla Prefettura, che ha approvato tutta la documentazione necessaria per la richiesta di cittadinanza. Tuttavia, quando è stato chiamato a leggere il testo in italiano, requisito fondamentale per dimostrare la conoscenza della lingua, non è riuscito a pronunciare nemmeno una parola. La situazione è stata verificata direttamente dalle autorità comunali: la vicesindaca Miriam Lombardi ha confermato che, nonostante l’uomo avesse una certificazione che attestava il superamento di corsi di lingua italiana, la sua capacità reale di comunicare in italiano risultava assente durante la prova.
Certificazione e realtà
La certificazione, infatti, sembrava in contrasto con quanto osservato sul campo. Questo ha sollevato dubbi sulla reale efficacia del corso frequentato e sulla composizione linguistica all’interno della famiglia del richiedente. La vicesindaca ha raccontato come, durante le verifiche, fosse la moglie e i figli a rispondere alle domande in italiano, mentre l’uomo restava in silenzio, incapace di articolare frasi nella nostra lingua.
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Le ragioni dietro la mancanza di conoscenza della lingua
Il caso ha portato all’approfondimento delle cause di questa mancanza di conoscenza, malgrado gli anni di permanenza in Italia. I familiari hanno spiegato che l’uomo comunica praticamente solo in lingua kosovara, sia con i colleghi di lavoro che con i parenti. La scelta di mantenere l’uso esclusivo del proprio idioma ha impedito al richiedente di consolidare le competenze linguistiche necessarie per superare la prova di cittadinanza.
Questo particolare quadro pone in evidenza quanto la conoscenza della lingua italiana vada oltre il semplice passaggio dei corsi obbligatori. L’immersione quotidiana e la pratica costante rimangono elementi chiave per la padronanza linguistica, indispensabile per ottenere la cittadinanza. Nel caso di Pescate, la presenza di una rete sociale e lavorativa che insiste esclusivamente sull’uso del kosovaro ha limitato fortemente l’apprendimento pratico dell’italiano.
Il sindaco e la decisione di non firmare il decreto di cittadinanza
Il sindaco Dante De Capitani ha confermato la sua decisione di non firmare il decreto di concessione della cittadinanza, motivandola con la necessità di rispettare i requisiti richiesti dalla legge italiana. “La prova della conoscenza della lingua è un requisito fondamentale e, in questo caso, la mancata capacità di leggere e parlare italiano ha portato al rifiuto formale.” Dal punto di vista del comune, si tratta di una questione di rispetto delle regole e di garanzia dell’inclusione solo a chi mostra una reale integrazione linguistica e culturale.
Norme di riferimento
La scelta del sindaco segue la normativa vigente che impone ai richiedenti la cittadinanza di dimostrare competenze linguistiche almeno a un livello base. Questa decisione si inserisce nel filone più ampio di controllo sulle condizioni per accedere alla cittadinanza, un tema che coinvolge più comuni e prefetture in tutta Italia. La vicenda di Pescate ha fatto emergere quindi le difficoltà di verifica concreta delle competenze dichiarate attraverso certificazioni e il rischio di discrepanze fra documenti e situazione reale.
Le implicazioni per i residenti stranieri e il diritto alla cittadinanza
Il caso vissuto a Pescate si situa in un contesto più ampio legato all’accesso alla cittadinanza da parte degli stranieri residenti in Italia da anni. La legge richiede non solo la permanenza territoriale ma anche la capacità di integrarsi, dimostrando un livello base di conoscenza della lingua italiana. Questa condizione serve a facilitare l’inclusione nel tessuto sociale e a garantire che i nuovi cittadini esercitino pienamente i propri diritti e doveri.
Questo episodio sottolinea però le difficoltà pratiche nell’applicare queste regole, specie quando l’uso quotidiano della lingua italiana non è consolidato, nonostante la frequenza a corsi di lingua. Molti residenti sono inseriti in comunità linguistiche ristrette, spesso legate alla loro provenienza, che fanno rimanere marginale l’uso dell’italiano pur vivendo stabilmente nel paese.
Organizzazione dei corsi e controlli
Allo stesso tempo, la vicenda apre spazi di discussione sulle modalità con cui vengono organizzati i percorsi d’apprendimento della lingua e sulle verifiche delle competenze. Chiarisce come la richiesta di cittadinanza non si basi solo su un documento ma su un’effettiva conoscenza e capacità di interagire nella vita quotidiana. La questione tocca sia le autorità locali che le istituzioni nazionali, responsabili di definire criteri chiari e procedure di controllo efficaci.