Nel cuore del Lungomare di Gaeta, un museo gratuito custodisce silenziosamente due giganti del mare: sono dolie di epoca romana, enormi contenitori in terracotta ritrovati nel 2017 per puro caso da un peschereccio al largo della costa. Da allora, le dolie hanno affrontato un lungo percorso fatto di desalinizzazione, trasferimenti e attese, e oggi, grazie all’impegno dell’associazione Gaeta e il Mare, possono finalmente essere ammirate, seppure senza una teca adeguata.
Tutto è iniziato il 15 maggio 2017, quando la motopesca Attila II, in navigazione 15 miglia a sud di Gaeta, ha issato accidentalmente nella rete due enormi contenitori in argilla. Non si trattava di pesce, ma di reperti archeologici usati nell’antichità per trasportare liquidi sulle navi. Come racconta Luigi Passeggio, presidente dell’associazione, la Guardia Costiera ordinò di portare i reperti a riva. Dopo due anni in vasche per il trattamento al sale, le dolie sono arrivate al Museo del Mare.
Tuttavia, problemi architettonici e normativi ne hanno impedito per anni la corretta esposizione. Fino a poco fa, erano coperte da un telo. Ora, grazie a piccoli lavori sostenuti dall’associazione, sono visibili al pubblico, immerse in un allestimento scenografico fatto di reti e onde ricostruite con fantasia. Ma resta l’assenza di una teca professionale.
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80 anfore, mosaici e monete chiuse dietro una porta: il tesoro invisibile di Gaeta
Non è tutto. Accanto alle dolie si cela un altro tesoro: 80 anfore romane, pezzi di ancore, 76 casse piene di mosaici e monete preromane recuperati da scavi a Sant’Angelo, quartiere periferico della città, durante i lavori per un oleodotto. Quei reperti erano in passato visibili nella chiesa medievale della Sorresca, ma vennero sequestrati dalla Guardia di Finanza per problemi autorizzativi. Da allora giacciono chiusi in una stanza sigillata del museo, che funge da deposito giudiziario.
Come spiega il sindaco di Gaeta, Cristian Leccese, quella stanza continua a essere il punto di raccolta ufficiale su richiesta della Sovrintendenza, che però oggi sarebbe disposta a permetterne l’esposizione. Il problema resta uno: i costi.
Solo per esporre correttamente le dolie servirebbero 11 mila euro ciascuna, destinati alla realizzazione delle strutture di sostegno e protezione. Il Comune, che gestisce un museo a ingresso gratuito, dovrebbe incaricare archeologi, predisporre interventi climatici e rispettare normative ministeriali. Due anni fa si è intervenuti sulla microclimatizzazione, ma per il resto servono risorse che al momento non ci sono.
Una storia di impegno e frustrazione tra archeologia e burocrazia
L’associazione Gaeta e il Mare, che gestisce il museo da tre anni, non ha mai smesso di cercare soluzioni. “Abbiamo viaggiato in tutto il mondo e ci siamo resi conto che in altri Paesi fanno meraviglie con poco. Noi, che abbiamo tanto, a volte non facciamo vedere niente”, ha spiegato Passeggio.
Lo spazio espositivo potenziale del museo sarebbe di 1.200 metri quadrati, ma oggi ne vengono utilizzati solo 450, al piano terra. E mentre palazzi del demanio militare restano chiusi, i tesori della città languono dietro porte serrate o sotto teli improvvisati.
“Chi lavora qui è gente del mare. C’è passione vera, spirito di servizio e senso civico”, ha riconosciuto il sindaco Leccese, definendo i volontari “eroi con dentro la gaetanità”. Intanto, nell’attesa di fondi strutturali e decisioni istituzionali, si è trovata almeno una soluzione di fortuna per permettere ai visitatori di vedere, anche se non in modo museale, quelle due dolie pescate dal fondo del mare, testimoni silenziose della storia sommersa di Gaeta.