Nel pomeriggio di ieri, la nave Life Support di Emergency ha recuperato due corpi senza vita in acque internazionali dentro la zona Sar libica. L’allarme era partito qualche giorno fa, dopo un volo di ricognizione della Sea-Watch che aveva individuato diversi cadaveri alla deriva. Sul tema migranti e salvataggi in mare si riaccende così una drammatica pagina di cronaca legata ai viaggi pericolosi verso l’Europa.
Le condizioni dei corpi e il porto di arrivo
All’arrivo dei corpi a bordo della Life Support, i medici hanno riscontrato uno stato di decomposizione tale da rendere impossibile stabilire il sesso delle vittime. Umberto Marzi, medico a bordo, ha stimato che i due corpi siano rimasti in acqua per un tempo che supera i sette giorni.
La nave di Emergency ha avuto assegnato come porto di sbarco Augusta in Sicilia. È previsto lo sbarco delle salme per la mattina di domenica 29 giugno, intorno alle 12. Qui si svolgeranno le procedure di identificazione da parte delle autorità competenti e gli accertamenti delle cause della morte.
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Ipotesi sulle cause e le dinamiche della tragedia
Anabel Montes Mier, capo missione della Life Support, ha raccontato che la situazione resta molto incerta e piena di interrogativi. Non ci sono certezze su cosa sia accaduto di preciso: potrebbe essersi trattato di un naufragio non segnalato, oppure che sia stato segnalato ma ignorato a lungo dalle forze di soccorso. C’è poi un’ipotesi su un possibile intervento della Guardia costiera libica o di altri gruppi libici. In questo scenario, alcuni migranti potrebbero essersi gettati in mare per sfuggire al respingimento.
Il problema della delega a Paesi terzi della gestione dei flussi migratori torna al centro del dibattito. Secondo Montes Mier, “è inaccettabile che l’Italia e l’Europa affidino il controllo delle frontiere a chi viola diritti umani fondamentali.” La respinta e la precarietà in cui si trovano molte persone in fuga trasformano il mare da via di speranza a luogo di morte.
I dati raccolti a bordo raccontano anche altro: l’avanzato stato di decomposizione dei corpi suggerisce che le persone abbiano trascorso almeno una settimana in mare prima del recupero. Questo dettaglio sottolinea la gravità della situazione e l’urgenza di interventi tempestivi.
Il recupero dei corpi e la segnalazione iniziale di sea-watch
Il primo avviso è arrivato giovedì scorso da Sea-Watch. Il loro velivolo Seabird aveva registrato la presenza di corpi galleggianti in mare aperto, in una delle aree di competenza Sar della Libia, tradizionalmente teatro di tante tragedie legate alla migrazione. La ricognizione aveva identificato almeno sei corpi, tra cui uno ben visibile in video. A rispondere è intervenuta subito la Life Support di Emergency, che ha operato una missione di recupero. I due corpi ritrovati portano a galla ancora una volta la drammaticità dei viaggi via mare che tante vite sono costate.
Le operazioni di recupero sono delicate e complesse, soprattutto in acque aperte e con condizioni ambientali spesso difficili. Le autorità europee monitorano costantemente queste zone, ma la vastità del mare e il numero di imbarcazioni coinvolte rendono la rapidità degli interventi estremamente critica. Emergency ha lavorato in condizioni di tempo limite, preso dalla consapevolezza che ogni ritardo può significare ancora più vittime.