Aumento dell’incertezza globale per le imprese dopo i dazi Usa: risultati del global survey 2025 di Allianz Trade

Aumento dell’incertezza globale per le imprese dopo i dazi Usa: risultati del global survey 2025 di Allianz Trade

Il Global Survey 2025 di Allianz Trade evidenzia come le aziende di Italia, Cina e Stati Uniti affrontino incertezze crescenti dovute ai dazi Usa, con impatti su export, catene di approvvigionamento e strategie commerciali.
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Il Global Survey 2025 di Allianz Trade evidenzia come l’instabilità tariffaria Usa stia aumentando incertezze e costi per le imprese globali, spingendo a rivedere catene di approvvigionamento, strategie di mercato e condizioni di pagamento. - Gaeta.it

L’instabilità delle politiche tariffarie Usa rimodella gli scenari del commercio internazionale. Il Global Survey 2025 di Allianz Trade mette in luce come le aziende di varie nazioni, tra cui Italia, Cina e Stati Uniti, stiano affrontando tensioni crescenti legate ai dazi e alla volatilità dei mercati. Questo report, aggiornato con dati raccolti prima e dopo gli annunci tariffari del 2 aprile, offre una fotografia aggiornata dell’impatto di queste misure sull’export, sulla produzione e sulla gestione delle catene di approvvigionamento.

La guerra commerciale usa continua a generare dubbi tra le aziende di tutto il mondo

Il sondaggio di Allianz Trade ha coinvolto 4.500 imprese in nove Paesi, coprendo continenti diversi. I risultati mostrano una forte crescita di incertezze legate alla politica tariffaria degli Stati Uniti, soprattutto dopo il cosiddetto Liberation Day, il 2 aprile, quando nuovi dazi sono stati annunciati. Prima di quella data, molte aziende manifestavano ottimismo sulla crescita delle esportazioni, mentre dopo si è osservato un netto calo delle aspettative.

Molte imprese si trovano a fronteggiare cambiamenti rapidi e improvvisi nelle regole doganali che influenzano non solo i volumi di scambio ma anche le strategie di produzione e di approvvigionamento. Il 60% delle aziende prevede effetti negativi persistenti sul proprio business a causa della guerra commerciale. Chi produce per mercati esteri valuta con attenzione se sospendere temporaneamente l’attività, spinta da dazi più alti e da tassi di cambio fluttuanti. Anche l’impatto sui ricavi delle esportazioni è evidente: quasi la metà delle aziende prevede una diminuzione.

Gli effetti si riversano soprattutto su settori che dipendono da componenti importate, costringendo molte realtà a rivedere le strette catene di fornitura per evitare perdite più gravi. In casi concreti, non è raro che alcune aziende anticipino gli ordini o addirittura spostino temporaneamente la produzione per aggirare i nuovi costi imposti dai dazi. A questo punto, l’incertezza non sembra risolversi grazie agli accordi bilaterali firmati recentemente con alcuni Paesi. La situazione resta fluida e difficile da decifrare in prospettiva.

Crollo delle aspettative di crescita e impatto sulle catene di approvvigionamento

Il Liberation Day ha segnato una svolta per molte imprese. Le aspettative positive sulle esportazioni globali sono scese da una media dell’80% al 40%. I dati indicano che il calo del fatturato previsto dalle aziende si colloca ora tra il 2% e il 10%, mentre prima si stimava una crescita di circa il 5%. Questo ribaltamento rispecchia la vulnerabilità evidenziata da catene di approvvigionamento ancora troppo concentrate su pochi mercati o fornitori.

La perdita stimata complessiva per il 2025 sfiora i 305 miliardi di dollari. Un dato che conferma quanto i dazi non siano soltanto un problema di costi diretti ma condizionino anche la stabilità dei flussi commerciali. Spostare merci, reperire nuovi fornitori, adeguare la logistica ha richiesto alle aziende un adattamento veloce e spesso costoso. Non tutte le imprese riescono a sostenere questi cambiamenti senza rischiare di ridurre competitività o margini.

Alcune industrie, soprattutto quelle più sensibili alla variabilità dei prezzi e ai ritardi, hanno deciso di rivedere l’intera strategia di approvvigionamento. In questo contesto, la diversificazione dei mercati di esportazione e dei fornitori diventa fondamentale. Per esempio, molte aziende europee guardano ora a Paesi come Polonia e Spagna per ampliare la propria rete di partner commerciali, rispetto a una dipendenza tradizionale dalla Cina o dagli Stati Uniti.

Reazioni delle imprese: flessibilità e nuove strategie contro i dazi

Le aziende non restano passive di fronte alla guerra commerciale e cercano soluzioni per ridurre gli effetti negativi. Una strategia comune riguarda il trasferimento dei costi maggiori ai clienti finali: più della metà delle imprese statunitensi intende aumentare i prezzi di vendita, evitando così di assorbire completamente gli oneri aggiuntivi. Altre puntano invece a riorganizzare i processi logistici per trovare rotte di spedizione alternative, meno costose o più rapide.

L’anticipazione delle spedizioni è un fenomeno osservato soprattutto negli Usa, dove l’86% delle imprese ha deciso di spedire in anticipo dalla Cina o dall’UE prima dell’entrata effettiva dei nuovi dazi. Questa prassi cerca di sfruttare la sospensione temporanea dei dazi, stabilita per 90 giorni, fino ad agosto. Tuttavia, rimane una misura temporanea che non elimina le complicazioni di fondo. Per questo motivo, la diversificazione rimane la risposta più diffusa: aziende di varie dimensioni stanno iniziando a esportare verso nuovi mercati, mentre alcune riconsiderano la localizzazione delle fabbriche.

Il de-coupling tra stati uniti e cina avanza

Le intenzioni delle imprese statunitensi di esportare nel mercato cinese si sono dimezzate, e anche le aziende cinesi riducono le loro esportazioni verso il Nord America. Questo spinge molte società a valutare l’Europa occidentale o l’America Latina come possibili alternative produttive e commerciali. L’America Latina, in particolare, emerge come una zona di interesse crescente per aggirare i dazi e mantenere l’accesso al mercato statunitense.

Modifiche nei termini di pagamento e aumento del rischio insolvenza

La guerra commerciale influisce anche sulle condizioni di pagamento. Dopo il 2 aprile circa un quarto degli esportatori ha segnalato l’introduzione di termini più lunghi oltre i sette giorni. Si è registrato un incremento del 13% rispetto a prima della nuova ondata di dazi. Inoltre, quasi la metà degli esportatori prevede un aumento del rischio insolvenza, in particolare in Stati Uniti, Italia e Regno Unito.

La percentuale di aziende che ricevono pagamenti entro 30 giorni è ridotta, soprattutto tra i grandi esportatori come Cina, Germania e Stati Uniti. La maggior parte dei pagamenti arriva tra 30 e 70 giorni, con differenze marcate soprattutto in Europa occidentale e Nord America. Le aziende più grandi si trovano a gestire ritardi più ampi, in alcuni casi superiori a 70 giorni. Questo allunga i tempi di capitale circolante, costringendo le società a farsi carico di ruolo finanziari per tenere in equilibrio la filiera.

Le nuove clausole contrattuali stanno emergendo per distribuire meglio i rischi di cambio e i costi di logistica. Il 59% delle aziende inserisce clausole di prezzo indicizzate al cambio valuta per ripartire le oscillazioni tra clienti e fornitori. Negli Stati Uniti, resta invece diffusa la clausola “Cost, Insurance & Freight” che carica sui fornitori i costi fino al punto di consegna dei clienti. Questi aggiustamenti influenzano l’equilibrio economico tra partner commerciali, andando a modificare vecchie abitudini e accordi consolidati.

Il contesto rimane complesso. Le aziende seguono con attenzione le evoluzioni con l’obiettivo di ridurre rischi e mantenere posizioni di mercato in un clima commerciale segnato da frizioni politiche e da continue modifiche alle regole del gioco internazionale.

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