Arresti e inchieste: una rete di corruzione nel carcere di Rebibbia

Arresti e inchieste: una rete di corruzione nel carcere di Rebibbia

Operazione della polizia penitenziaria svela un sistema di corruzione nel carcere di Rebibbia, coinvolgendo avvocati e psicologi in traffici di certificati medici falsi e sostanze stupefacenti.
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Arresti e inchieste: una rete di corruzione nel carcere di Rebibbia - Gaeta.it

La recente operazione della polizia penitenziaria ha portato alla luce un complesso sistema di corruzione all’interno del carcere di Rebibbia, coinvolgente avvocati, psicologi e detenuti. Tra i soggetti arrestati figurano figure di rilievo come Lucia Gargano e Vincenzo Saulino, i quali, secondo le accuse, hanno contribuito a un traffico interno di certificati medici falsi e sostanze stupefacenti. Le indagini rivelano un quadro preoccupante dove la criminalità riesce a mantenere contatti e affari anche dietro le sbarre.

Il sistema di corruzione: un’operazione sotto copertura

Le indagini hanno preso avvio dalle informazioni ricevute dai funzionari del carcere. Dal momento che i soggetti coinvolti avevano paura di parlare al telefono per il timore di intercettazioni, gli agenti della polizia penitenziaria hanno dovuto attivare un’operazione sotto copertura, includendo telecamere e microfoni nascosti. Questi strumenti hanno svelato come Vincenzo Saulino, un esperto psicologo del carcere, avrebbe collaborato con alcuni detenuti per il rilascio di certificati medici falsi. Tali documenti sarebbero stati utilizzati per ottenere permessi di uscita o misure alternative al carcere mediante colloqui psicologici con i carcerati.

Arrestate anche Lucia Gargano e Danilo Siliquini, con l’accusa di fare da intermediari tra i traffici illeciti all’interno e all’esterno del carcere. Gargano, già menzionata in inchieste precedenti, si sarebbe segnalata per i suoi rapporti con boss detenuti, facilitando così il perpetuarsi di traffici di sostanze stupefacenti dall’Olanda. Le indagini, che coinvolgono carabinieri del Gruppo di Frascati, hanno delineato un quadro dove gli affari della droga riuscivano a sopravvivere anche durante le restrizioni legate alla pandemia.

Storia di un avvocato e di un psicologo finiti nel mirino

Lucia Gargano non è nuova a situazioni di contatto fra legge e criminalità. Nel 2017, infatti, era già stata coinvolta in un’inchiesta sulla “pace mafiosa” legata a noti boss romani: nonostante una condanna in primo grado, era stata assolta in appello. Questo nuovo caso ha gettato nuovamente la luce sulla sua attività, coinvolgendola in un’utilità operativa per i narcos reclusi. Gli investigatori la vedono come un ponte tra i detenuti e il mondo esterno, facilitando lo scambio di comunicazioni e messaggi illeciti.

Vincenzo Saulino, psicologo con ruolo di supporto ai detenuti, è accusato di aver sfruttato la sua posizione per alimentare traffici di coralità. Affermazioni di collaboratori di giustizia hanno rivelato che avrebbe ricevuto compensi per facilitare l’accesso a permessi basati su certificati falsi, con alcuni detenuti che hanno persino pagato cifre significative per ottenere tali documenti. I suoi tentativi di ottenere finanziamenti dalla Regione per progetti legati al benessere dei detenuti hanno attirato ulteriori sospetti su un comportamento improprio.

Connessioni con il traffico di droga e le guerre tra clan

L’inchiesta ha rivelato anche collegamenti con traffici di cocaina destinati a diverse aree della Capitale, toccando zone come Tor Bella Monaca e Cinecittà. Con l’aiuto di pizzini e comunicazioni clandestine, alcuni personaggi chiave, già latitanti, riuscivano a mantenere operativa la criminalità anche dai penitenziari. Questo sistema ha coinvolto figure come Christian Damiani, noto trafficante, che, persino se in carcere, ha continuato a dare ordini e gestire affari, approfittando del sistema di comunicazione furtiva.

La rete investigativa ha identificato 32 misure cautelari e ha evidenziato il ruolo di Gargano, documentato mentre passava messaggi ai detenuti durante colloqui in carcere, suggerendo connessioni dirette tra il traffico di sostanze e l’operato legale. Spesso, i messaggi includevano istruzioni dirette o comunicazioni strategiche. La presenza di complici reclusi suggerisce che il traffico di droga si avvaleva di inquilini con salari per occultamento, ponendo un serio interrogativo sulla gestione della sicurezza all’interno delle strutture penitenziarie.

Rete di complicità e misure cautelari

Oltre a Lucia Gargano e Vincenzo Saulino, i risultati dell’inchiesta hanno portato a misure restrittive anche per altre figure operanti nel carcere. Due operatrici di Rebibbia, Antonella Abate e Claudia Bove, sono state sospese dal servizio pubblico per un anno. Altre persone coinvolte, compreso Maurizio Mastromatteo, detenuto già noto per versi di corruzione precedente, si trovano ora ai domiciliari. Questo caso, quindi, si è rivelato una significativa esposizione di come rete di corruzione e traffico di sostanze possa esistere in un ambiente che dovrebbe, per natura, garantire ordine e riabilitazione. Le autorità continuano a indagare per comprendere l’intero sistema e garantire la legalità all’interno del contenuto penitenziario.

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