Water From Your Eyes, il duo formato da Nate Amos e Rachel Brown, continua a farsi notare con il suo settimo album, “It’s A Beautiful Place”, uscito nel 2025. Un lavoro che segna un passo avanti rispetto ai dischi precedenti, senza perdere quella coesione che li contraddistingue. Qui convivono noise, grunge, shoegaze e art-pop, mescolati con cura. Sono proprio queste sfumature sonore e i temi trattati a mettere la band tra le realtà più interessanti della scena indipendente americana.
Da New York, un duo che unisce sperimentazione e struttura
Dietro Water From Your Eyes ci sono Nate Amos e Rachel Brown, due musicisti che vengono dalla scena underground di New York, legata al mondo DIY. Il loro suono è un mix di elettronica, indie rock e psichedelia, con un equilibrio instabile tra ironia e rigore musicale. Nato come progetto in camera da letto, il duo ha saputo trasformarsi in una formazione capace di calcare palchi internazionali, guadagnando così una solida reputazione e l’attenzione di critica e pubblico.
La loro musica alterna momenti intensi e rumorosi a passaggi più rarefatti, quasi ambientali. L’ironia non scade mai nell’improvvisazione fine a sé stessa: c’è sempre una linea sottile che tiene insieme tutto, accompagnando l’ascoltatore in un percorso sonoro complesso ma coerente, dove emergono sensibilità precise nel raccontare temi personali e attuali.
“It’s A Beautiful Place”: un album che amplia gli orizzonti
“It’s A Beautiful Place” è il settimo album di Water From Your Eyes, pubblicato nel 2025 con Matador Records. Un disco che raccoglie l’eredità di “Everyone’s Crushed” , ma porta con sé una chiara evoluzione sonora. L’apertura con “Life Signs” mette subito in chiaro il loro stile: chitarre distorte si mescolano a melodie sospese sopra un caos che sembra controllato. Gli assoli, a tratti scomposti e inaspettati, disegnano un viaggio sonoro che cattura e non lascia andare.
Il disco si muove su più registri: “Nights In Armor” si addentra nello shoegaze più ruvido, “Born 2” sfiora atmosfere quasi ambientali, mentre “Spaceship” punta su una psichedelia destrutturata. Questo gioco di variazioni mantiene alta la tensione creativa e rende l’album ricco ma organico. “Playing Classics” è uno dei momenti più riusciti, dove la band mostra di saper rielaborare il passato con consapevolezza, guardando al futuro.
L’album ha un respiro quasi cinematografico, grazie a un impianto sonoro più solido rispetto ai lavori precedenti, pur senza perdere la freschezza e l’imprevedibilità che li accompagna fin dall’inizio.
Temi esistenziali e riflessioni poetiche nel cuore del disco
“It’s A Beautiful Place” non è solo un passo avanti dal punto di vista tecnico, ma anche un modo nuovo di affrontare i temi esistenziali. Se in passato Water From Your Eyes raccontavano il caos del presente con ironia e un pizzico di cinismo, qui la prospettiva si fa più matura. Il disincanto lascia spazio a una poesia che sfiora il spirituale.
Ogni brano sembra un pezzo di un discorso più ampio, che parla di fragilità dell’identità, della relatività del senso e della necessità di continuare a cercare, nonostante le assurdità della vita quotidiana. “It’s A Beautiful Place” diventa così un invito a evitare risposte definitive, ad aprirsi a mondi alternativi, più astratti, ma che rispecchiano le inquietudini del nostro tempo. Il disco è un dialogo musicale sui limiti e le possibilità di capire il proprio ruolo nel mondo.
L’intreccio tra riferimenti cosmici e temi più terreni arricchisce la complessità emotiva e intellettuale del progetto, offrendo un’esperienza sonora che si presta a diverse interpretazioni.