Nel corso di recenti scavi effettuati al largo delle coste dell’Indonesia, è stata fatta una scoperta archeologica di portata straordinaria
Nel corso di recenti scavi effettuati al largo delle coste dell’Indonesia, è stata fatta una scoperta archeologica di portata straordinaria: un ecosistema preistorico, un vero e proprio “mondo perduto” risalente a circa 140.000 anni fa. Questo ritrovamento non solo arricchisce la nostra comprensione delle origini dell’umanità, ma offre anche una finestra su un passato che pensavamo di conoscere solo attraverso teorie e congetture.
La scoperta è avvenuta nel 2011, quando un gruppo di minatori, impegnato nell’estrazione di sabbia nello stretto di Madura, si è imbattuto in fossili sepolti. Da quel momento, il sito ha attirato l’attenzione di archeologi e scienziati, che hanno intrapreso scavi sistematici nel mare di Giava, parte dell’oceano Pacifico. Dopo tredici anni di ricerche, sono stati recuperati oltre 6.000 fossili, conservati sotto strati di limo e sabbia, raccontando storie di un passato remoto e affascinante.
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Tra i reperti più significativi, gli archeologi hanno identificato un cranio appartenente a un Homo erectus, uno dei nostri antenati più lontani, datato a circa 140.000 anni fa. Questa datazione è stata possibile grazie alla tecnica della luminescenza stimolata otticamente, che consente di determinare l’ultima esposizione dei sedimenti alla luce solare. La scoperta di Homo erectus suggerisce che questa area un tempo fosse un importante centro di attività umana, in grado di sostenere popolazioni significative.

Oltre al cranio, la maggior parte dei restanti fossili proviene da animali di 36 specie diverse, tra cui draghi di Komodo, bufali e grandi mammiferi erbivori, come gli Stegodon, simili agli elefanti moderni. Questi ritrovamenti non solo forniscono indizi sulla fauna dell’epoca, ma anche sull’ecosistema che caratterizzava il Sundaland, un’antica massa continentale che un tempo collegava il Sud-est asiatico in una vasta pianura tropicale.
Uno degli aspetti più intriganti di questa scoperta riguarda le tecniche di caccia utilizzate dai nostri antenati. Alcuni fossili di animali presentano segni di tagli deliberati, segnale che indicano che questi individui erano stati cacciati da ominidi. Questo suggerisce che le prime popolazioni umane avevano sviluppato tecniche di caccia relativamente avanzate, impiegando strumenti rudimentali ma efficaci per procurarsi il cibo. Harold Berghuis, dell’Università di Leida, ha sottolineato come queste scoperte offrano uno sguardo raro sulla vita antica, evidenziando le abilità e le strategie di sopravvivenza degli ominidi in un ambiente in cambiamento.
L’analisi dei fossili e dei resti animali ha rivelato anche informazioni sulle condizioni climatiche e ambientali di quel periodo. Durante il Pleistocene medio, la regione del Sundaland era caratterizzata da una grande biodiversità e mobilità delle popolazioni di ominidi. Gli archeologi hanno scoperto un sistema di valli sepolte provenienti da un antico fiume, suggerendo che l’area fosse un ecosistema fluviale fiorente, ricco di risorse naturali. Si stima che questo paesaggio sia stato sommerso circa 10.000 anni fa a causa dello scioglimento dei ghiacci, che ha portato a un innalzamento del livello del mare di circa 120 metri.