Un futuro segnato dal caldo estremo e dall’affitto di relazioni umane nel film di Jacqueline Zünd

Un futuro segnato dal riscaldamento globale estremo e dalla solitudine, dove relazioni umane artificiali diventano rifugio in una società che vive di notte tra isolamento e fragilità sociale
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Caldo estremo e relazioni in affitto nel film di Jacqueline Zünd. - Gaeta.it

Il film “Don’t Let the Sun” di Jacqueline Zünd, presentato al Festival di Locarno 2025, racconta un mondo in cui il riscaldamento globale modifica profondamente la vita quotidiana e i rapporti tra le persone. La storia si svolge in un futuro prossimo, con temperature che raggiungono quasi i 50 gradi nelle ore serali, e una società che si adatta vivendo soprattutto di notte. In questo contesto, la solitudine si fa più intensa e nascono agenzie che offrono persone in affitto per simulare amicizie, matrimoni o legami familiari. La pellicola mostra questa realtà senza ricorrere al fantastico, evidenziando una situazione già presente in alcune zone del pianeta.

Il contesto del film e la storia di un rapporto artificiale che diventa vero

“Don’t Let the Sun” segue la vicenda di Jonah, un uomo di 28 anni che lavora per un’agenzia che affitta relazioni umane su richiesta. Il suo compito è interpretare figure familiari, amici o altre persone a noleggio per clienti che cercano affetto e compagnia in modo artificiale. Durante uno di questi incarichi, Jonah si trova a fare da padre a Nika, la figlia di una madre single, e questa esperienza lo porta a scoprire nuove parti di sé. Il protagonista è interpretato da Levan Gelbakhiani, attore georgiano premiato per la migliore interpretazione nella categoria Cineasti del Presente. La regista svizzera Jacqueline Zünd, al suo debutto nella fiction dopo un percorso documentaristico, ha scritto la sceneggiatura insieme ad Arne Kohlweyer per esplorare come le relazioni cambiano in un’epoca di isolamento e crisi climatica.

L’idea del film è nata durante un soggiorno della regista in Giappone, dove ha scoperto l’esistenza di aziende che affittano “contatti sociali”: persone noleggiate per accompagnare, consolare o fare compagnia a estranei. Zünd ha preso spunto da questa realtà per riflettere su come le relazioni umane si trasformano e su come il contesto esterno – caldo estremo, alienazione, fragilità sociale – influenzi queste dinamiche. La narrazione si concentra quindi sull’intreccio tra crisi climatica e crisi emotiva, due fenomeni che allontanano le persone e spingono verso affetti mediati e sintetici.

Un mondo che vive di notte tra temperature record e architetture brutaliste

Le temperature elevate descritte nel film costringono i personaggi a vivere soprattutto di notte, perché il caldo diurno diventa insopportabile. Le notti, pur meno afose, si mantengono vicine ai 50 gradi, una soglia estrema che modifica profondamente il ritmo umano e sociale. Questa situazione riflette fenomeni già presenti in alcune aree del pianeta, dove il riscaldamento globale ha cambiato abitudini e stili di vita.

L’estetica del film si basa su un’architettura brutalista dominante. Jacqueline Zünd ha scelto questo stile per rappresentare visivamente la fragilità degli esseri umani. Gli edifici massicci, dalle linee rigide e dall’aspetto severo, diventano lo specchio di una società che appare allo stesso tempo imprigionata e vulnerabile. L’ambientazione inizialmente doveva essere São Paulo, città nota per il suo patrimonio brutalista, ma le difficoltà legate alla co-produzione e a questioni politiche hanno portato il team a limitare le riprese in Brasile a inquadrature dall’alto, rimuovendo con effetti speciali le persone dalle strade. Le scene principali sono state girate in Italia, soprattutto a Milano e Genova, nelle abitazioni popolari di Monte Amiata e nel complesso soprannominato “le Lavatrici”.

Questi contesti urbani rappresentano una modernità opprimente ma fragile, un ambiente in cui le persone perdono il contatto non solo con gli altri, ma anche con se stesse. Il ritmo lento e quasi silenzioso del film sottolinea questa condizione di isolamento e alienazione, accentuata dagli spazi freddi e dal caldo persistente.

Alienazione e solitudine tra mutazioni sociali e fenomeni reali

Il fulcro di “Don’t Let the Sun” è l’analisi della diffusione della solitudine in un mondo sempre più caldo e distante. La presenza di agenzie che affittano relazioni umane si ispira a fenomeni già documentati, ad esempio in Giappone, dove cresce il mercato della “compagnia a noleggio” per chi fatica a mantenere legami personali autentici. Questi servizi offrono un surrogato di legami familiari, amicizie o affetti, aiutando chi si sente isolato a gestire il bisogno di contatto.

Nel film, queste dinamiche si inseriscono in un contesto più ampio, in cui il cambiamento climatico alimenta tensioni e paure, contribuendo a separare gli individui. Il caldo estremo, che attraversa ogni aspetto della vita quotidiana, riduce le possibilità di relazioni autentiche. Ne deriva una società che si rifugia in illusioni e compromessi emotivi.

La sceneggiatura, essenziale e focalizzata sulle emozioni trattenute dei personaggi, mette in luce la tensione tra il desiderio di connessione e il senso di distanza. Nonostante la natura artificiale delle relazioni offerte dall’agenzia, il legame tra Jonah e Nika si sviluppa in modo profondo, dimostrando che anche in una realtà frammentata il bisogno di umanità persiste e si manifesta in modi inattesi.

Il film affronta temi concreti del nostro tempo, tra ondate di calore sempre più intense e la trasformazione dei legami sociali sotto la pressione di condizioni difficili. Mostra una società che fatica a resistere al caldo e alla solitudine, in attesa di trovare nuove forme di rapporti autentici.