Le forze dell’ordine hanno messo fine all’attività di un gruppo criminale specializzato nel furto e riciclaggio di auto, attivo nel Milanese. Nell’operazione sono finite in manette sei persone, mentre altre quattordici sono indagate per aver falsificato documenti necessari alla vendita delle vetture rubate. Tra gli indagati spicca un commissario della Polizia Locale di Cesano Boscone, accusato di fornire alla banda informazioni preziose per evitare i controlli.
Come funzionava la banda: furti, nascondigli e falsificazioni
La gang era ben organizzata, con ruoli chiari per ogni membro. I furti riguardavano auto comuni, prese in diverse zone della città e della provincia. Dopo essere state rubate, le vetture venivano parcheggiate in strade poco frequentate, così da non attirare l’attenzione delle forze dell’ordine. Poi venivano spostate in un capannone vicino al comando della Polizia Locale.
Qui, i mezzi subivano pesanti modifiche: targhe e numeri di telaio venivano cambiati con dati falsi, grazie all’aiuto di esperti falsari. La parte più delicata era proprio la contraffazione dei documenti. Una volta “ripuliti”, i veicoli venivano venduti a intermediari che li immettevano di nuovo nel mercato, senza destare sospetti. Così, tra continui passaggi di proprietà fasulli e documenti contraffatti, l’attività illegale andava avanti indisturbata.
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Il ruolo chiave del commissario della Polizia Locale
Al centro dell’organizzazione c’era un commissario della Polizia Locale di Cesano Boscone, 63 anni, finito anche lui in manette. Secondo gli investigatori, aveva il compito di avvertire la banda se c’erano indagini o sospetti sul capannone dove venivano nascosti e manomessi i veicoli. “Grazie a lui, la rete aveva un vero e proprio sistema di allarme interno.”
Le comunicazioni servivano a evitare controlli e sequestri, assicurando così il proseguimento delle attività criminali. Il commissario si occupava di questa parte “strategica”, mentre gli altri membri si dividevano tra furti, falsificazioni e vendita. La complicità di un pubblico ufficiale ha reso le indagini più difficili e ha rallentato di mesi la scoperta dell’intera rete.
Chi sono gli arrestati e come agivano
I sei arrestati sono tutti italiani e avevano compiti precisi. Due di loro – un uomo di 58 anni e suo figlio di 27 – erano i ladri veri e propri. Operavano nelle ore più tranquille, puntando su auto facili da spostare e parcheggiate in strade poco frequentate.
Gli altri quattro si occupavano della parte “burocratica” e tecnica: falsificavano documenti e custodivano le vetture nel capannone. Ognuno aveva il suo ruolo nella catena che andava dal furto alla vendita. Questa divisione del lavoro garantiva efficienza e sicurezza, complicando pure il lavoro degli investigatori.
I numeri dell’inchiesta: 33 furti e decine di falsificazioni
Le indagini coprono un periodo che va da settembre 2022 a dicembre 2024. In questo arco di tempo, la banda avrebbe messo a segno 33 furti di auto, oltre a 20 episodi di ricettazione e falsificazione documentale.
Questi dati mostrano una rete solida e attiva, capace di muoversi nell’ombra per mesi. Il fatto che il capannone fosse così vicino al comando della Polizia Locale spiega anche il ruolo fondamentale del commissario, che ha coperto le operazioni per tanto tempo prima che arrivassero gli arresti.
Questa operazione ha messo in luce un problema serio: anche chi dovrebbe garantire la sicurezza può essere coinvolto in attività criminali, aiutando così bande specializzate in furti e riciclaggio di auto.