Sequestro dell’area daramic a tito per inquinamento della falda e disastro ambientale

Sequestro dell’area daramic a tito per inquinamento della falda e disastro ambientale

Sequestrata un’area di 48 mila metri quadri a Tito per gravi danni ambientali causati da Daramic, con indagini su dirigenti e funzionari pubblici per disastro ambientale e contaminazione da tricloroetilene.
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I carabinieri hanno sequestrato un’area industriale di 48.000 m² a Tito (Potenza) per gravi danni ambientali causati dalla multinazionale Daramic, accusata di contaminazione da tricloroetilene e omissioni nella bonifica, con coinvolgimento di dirigenti e funzionari pubblici. - Gaeta.it

Lunedì mattina nell’area industriale di Tito, in provincia di Potenza, i carabinieri del Nucleo Operativo Ecologico hanno sequestrato una vasta area di 48 mila metri quadri di proprietà della Daramic, una multinazionale statunitense specializzata nella produzione di componenti per separatori di batterie. L’intervento si inserisce in un’indagine per gravi danni ambientali e contaminazione della falda acquifera, che coinvolge dirigenti d’azienda e funzionari pubblici. La zona, caratterizzata da vincoli paesaggistici, fa parte di un sito d’interesse nazionale e presenta livelli di inquinamento allarmanti.

Il contesto del sequestro e il coinvolgimento della procura di potenza

Il provvedimento di sequestro preventivo finalizzato alla confisca è stato firmato dal gip del Tribunale di Potenza e notificato al termine delle indagini. I soggetti indagati sono tredici: sette appartengono al management della Daramic e altre società collegate, inclusi due responsabili che risiedono all’estero, e sei sono funzionari pubblici. Tra questi ultimi, due sono curatori fallimentari. Le accuse principali sono disastro ambientale aggravato, omessa bonifica e gestione illecita di discariche.

Le indagini, avviate nel 2023, si sono concentrate sia su chi avrebbe dovuto intervenire per ripulire l’area, sia su chi, pur sapendo della contaminazione e dell’inerzia degli operatori, non avrebbe preso iniziative per bloccare o almeno mitigare il danno. Il procuratore facente funzioni, Maurizio Cardea, ha sottolineato come i funzionari pubblici non abbiano sostituito i responsabili nella gestione della bonifica, nonostante la gravità della situazione ambientale sia stata ben nota.

Dettagli sull’inquinamento da tricloroetilene e impatto sulla falda acquifera

La contaminazione più grave riguarda il tricloroetilene, un composto organico volatile altamente tossico e classificato come cancerogeno. La sostanza è stata trovata in concentrazioni 110 volte superiori ai limiti di legge, anche fuori dai confini del Sin , contaminando terreni agricoli e il torrente Tora. Questa sostanza chimica, utilizzata per la pulizia industriale, ha deteriorato la falda acquifera creando rischi per l’ambiente e la salute pubblica.

La causa principale è stata identificata nella mancata rimozione di una sorgente primaria di contaminazione da parte della società responsabile. L’inquinamento non solo ha compromesso la qualità dell’acqua sotterranea, ma ha anche esteso l’impatto ben oltre la zona industriale, interessando aree agricole, con conseguenze potenzialmente gravi per gli ecosistemi locali e le attività produttive legate al territorio.

Pregressi e omissioni nella gestione ambientale della multinazionale e delle società collegate

La Daramic ha già avuto in passato problemi legali e ambientali collegati a questo stabilimento lucano. Nel 2005 emergono dati su contaminazioni di tricloroetilene con valori estremamente alti, pari a oltre un milione di volte i limiti di legge. Nel 2010, la multinazionale ha cessato le attività in loco, ma proprio in quell’anno sarebbero stati trasferiti all’estero più di 19 milioni di euro sottraendoli alle procedure di bonifica.

Successivamente è nata la società Step One, derivata da un’operazione della Daramic, ma anch’essa non ha effettuato bonifiche o attività economiche significative. La Step One è finita in fallimento dopo soli cinque anni, senza risolvere i problemi ambientali ereditati. Non a caso, parte degli indagati include curatori fallimentari, chiamati a rispondere dell’omessa gestione e dell’assenza di interventi sul sito.

Responsabilità legali e quadro delle indagini in corso

L’indagine ha fotografato una serie di omissioni e negligenze, da parte di dirigenti e funzionari. I manager hanno avuto il dovere di effettuare o almeno sollecitare la bonifica, la quale non è mai stata portata avanti. Dall’altro lato, i funzionari pubblici, incaricati di tutelare l’ambiente e far rispettare la legge, non hanno reagito nemmeno di fronte a segnalazioni e dati incontrovertibili.

La Procura di Potenza si occupa di far emergere queste responsabilità, a partire da prove raccolte nel corso di mesi di accertamenti. Le accuse pesano soprattutto sulla mancata bonifica e sulla gestione illecita di rifiuti. Il caso richiama altri episodi italiani in cui aree vittime di inquinamenti industriali sono rimaste tali per lungo tempo, danneggiando risorse naturali preziose e mettendo a rischio la salute delle comunità locali.

«I funzionari pubblici non hanno sostituito i responsabili nella gestione della bonifica, nonostante la gravità della situazione ambientale sia stata ben nota» ha dichiarato Maurizio Cardea.

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