Le controversie sulla possibilità di impugnare le sentenze di assoluzione tornano al centro del dibattito giudiziario. La riproposizione della cosiddetta proposta Costa mette in discussione un ambito delicato della giustizia, regalandoci uno scontro aperto tra istituzioni e sindacati delle toghe. La questione ruota attorno a modi e limiti del ricorso nel sistema penale, in un contesto segnato da riforme e critiche che riguardano la libertà di azione del pubblico ministero.
Il ddl nordio e la riduzione dei ricorsi dopo le assoluzioni
Nel 2024 è stato approvato il ddl Nordio, una normativa che ha tolto al pubblico ministero la possibilità di impugnare le sentenze di assoluzione per reati con pena massima fino a quattro anni. Questo provvedimento ha subito prodotto una diminuzione netta dei ricorsi in appello, ridisegnando il panorama delle impugnazioni nel processo penale. Il risultato è stato percepito come un tentativo chiaro di contenere la pressione dei pm sul sistema giudiziario.
Il segretario generale dell’Associazione nazionale magistrati, Rocco Maruotti, ha definito questa situazione “una legge ad personam”, sottolineando che la misura non sembra poter aggiungere reali benefici al procedimento penale. A suo giudizio, si tratta di un modo per aggirare il divieto costituzionale di eliminare del tutto il potere di impugnazione del pm, vietato dalla Corte costituzionale già dal 2007. Maruotti interpreta la proposta come un meccanismo volto a scoraggiare i magistrati dall’utilizzare lo strumento dell’appello, minacciando ripercussioni negative sulla loro carriera.
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Intimidazioni e conseguenze per il pubblico ministero: la critica della anm
Maruotti parla senza mezzi termini quando denuncia l’idea che il pubblico ministero possa essere dissuaso dall’esercitare le proprie funzioni con la prospettiva di subire sanzioni o blocchi professionali. La proposta Costa prevede infatti conseguenze sulla progressione del magistrato qualora quest’ultimo impugni troppe sentenze di assoluzione senza esito favorevole. Questo approccio accende il dibattito su possibili restrizioni alla libertà di azione di chi rappresenta l’accusa.
Secondo il sindacato delle toghe, il piano della maggioranza legislativa sembra basato su un messaggio intimidatorio: per evitare che il pm faccia ricorso, si vuole fargli capire che potrebbe pagare un prezzo alto, in termini di carriera. È un segnale che, agli occhi di Maruotti, mira a frenare un uso legittimo degli strumenti di impugnazione. Sottolinea così come la riforma metta a rischio l’autonomia e l’indipendenza della magistratura penale, mantenendo un clima di tensione tra politica e giustizia.
Divergenze sul concetto di “ragionevole dubbio” e il ricorso in cassazione
Il vicesegretario del sindacato dei magistrati, Stefano Celli, si concentra su un aspetto importante, spesso frainteso nel confronto pubblico. La “lettura distorta del ragionevole dubbio”, in particolare quella adottata dal ministro competente, non considera che il ricorso alla corte di cassazione ha uno scopo ben preciso: garantire un’applicazione uniforme della legge, indipendentemente dal grado di colpa o innocenza.
Celli sottolinea che la funzione del ricorso non si lega direttamente all’esistenza di un dubbio ragionevole sulle accuse, ma è prevista dalla Costituzione come strumento di garanzia e di controllo. Finora, non risulta che la maggioranza abbia intenzione di modificare questa norma fondamentale. Il dialogo si sviluppa anche sulla selezione dello strumento giusto per correggere eventuali errori, senza confondere prerogative diverse e rischiare di comprimere diritti costituzionali.
Intimidazione della magistratura e impatto sulla riforma costituzionale
Paola Cervo, componente della giunta dell’Anm, rileva invece come la proposta Costa sembri svincolata dagli attuali negoziati sulla riforma costituzionale, eppure ne riflette uno spirito sottostante: quello di mettere sotto pressione i magistrati che esercitano i propri poteri senza mostrarsi deferenti nei confronti del potere politico.
Questa dinamica alimenta un clima di intimidazione verso la magistratura, specie quando i pm intraprendono azioni non allineate alle aspettative del governo o della maggioranza parlamentare. La riforma in discussione su più fronti istituzionali rischia così di scontrarsi con l’introduzione di norme come la proposta Costa, che potrebbero limitare una reale indipendenza del sistema giudiziario e ridurre la possibilità di contraddittorio in appello.
L’attenzione resta alta tra gli operatori del diritto, dati i riflessi che simili misure potrebbero comportare sul funzionamento della giustizia penale e sul ruolo del pubblico ministero nel lungo termine.