Il referendum del 2025 propone modifiche rilevanti nel mondo del lavoro e dell’immigrazione in Italia. Le quattro questioni riguardano licenziamenti, contratti a termine e tempi di residenza per la cittadinanza. Michele Pagliaro, presidente dell’Inca Cgil, ha spiegato i dettagli delle proposte, sottolineando come possano influire su oltre 3 milioni di lavoratori e cittadini stranieri residenti.
Abrogazione del contratto a tutele crescenti sul reintegro dopo licenziamenti illegittimi
Il primo quesito mira a cancellare la norma contenuta nel Jobs Act che regola il reintegro dei lavoratori nelle aziende con più di 15 dipendenti. Attualmente, chi è stato assunto dopo il 7 marzo 2015 non viene reintegrato se il licenziamento è dichiarato illegittimo, anche se il giudice riconosce l’ingiustizia. Questa norma interessa più di 3,5 milioni di dipendenti e impedisce il ritorno al lavoro dopo un licenziamento errato. Il referendum propone di abolire questa restrizione e permettere così il rientro sul posto di lavoro in casi di licenziamenti ingiusti. Questo comporterebbe una modifica sostanziale nel rapporto tra lavoratore e datore, dando maggior peso alla decisione dei giudici nel valutare l’illegittimità.
Tutela del lavoratore e ruolo del giudice
Questa disposizione, in vigore da quasi un decennio, ha limitato drasticamente tutele già previste in passato. Le imprese oggi possono licenziare senza il rischio concreto di dover reintegrare i dipendenti, circoscrivendo molto le possibilità di difesa per chi subisce un licenziamento ingiusto. Chi vota sì sostiene un ritorno a uno status che garantisca più spazio alla tutela del lavoro diretto e alla salvaguardia del posto in caso di giudizio favorevole al lavoratore.
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Revisione del tetto alle indennità per licenziamenti nelle piccole imprese sotto i 16 dipendenti
Il secondo quesito si concentra sulle aziende con meno di 16 dipendenti, dove oggi l’indennità massima per un licenziamento giudicato illegittimo è pari a 6 mensilità. Anche se il giudice reputa il licenziamento ingiusto, il risarcimento non può superare questo limite. Il referendum vuole eliminare quel tetto obbligando a lasciare che sia il giudice a stabilire l’ammontare del risarcimento senza un limite massimo prefissato. Questo interessa una vasta categoria di lavoratori in piccole realtà produttive sparse in tutto il Paese.
L’impatto per le piccole imprese
L’effetto più diretto sarebbe una maggiore attenzione da parte delle aziende verso le modalità di licenziamento, sapendo che il risarcimento potrebbe raggiungere cifre più alte a seconda del giudizio. Il meccanismo renderebbe il giusto risarcimento più proporzionato ai danni subiti, coinvolgendo anche piccole imprese che finora hanno goduto di un limite netto nelle cause di lavoro.
Gli oppositori di questa misura di solito citano rischi per la sostenibilità economica delle piccole realtà imprenditoriali, ma l’idea alla base del quesito è riconoscere pienamente il ruolo del giudice nella tutela dei diritti, senza vincoli artificiali.
Introduzione dell’obbligo di causali per i contratti a termine per contrastare il precariato diffuso
Il terzo quesito punta a modificare le regole sul lavoro a tempo determinato. Attualmente in Italia si contano circa 2,3 milioni di persone con contratti a termine. Fino a 12 mesi di contratto, le aziende possono utilizzare rapporti di lavoro temporanei senza dover indicare una motivazione. Questo ha contribuito ad ampliare la fascia di precariato, rendendo difficile per molti accedere a una stabilità professionale.
Limitare l’uso indiscriminato dei contratti a termine
Il referendum propone di reintrodurre l’obbligo di causali, per cui ogni contratto a termine dovrà giustificare la temporaneità del rapporto con ragioni specifiche. In pratica, questo dovrebbe limitare l’uso indiscriminato di contratti a termine e spingere le aziende a valutare meglio la necessità di assumere in maniera stabile. La scelta rappresenta un tentativo di affrontare la piaga del precariato che interessa ampie fasce di lavoratori.
La richiesta di causali torna così a essere un filtro importante per regolare il mercato del lavoro, cercando di aumentare la responsabilità dei datori di lavoro e offrire maggiore sicurezza ai dipendenti. Le modifiche vanno a modificare una delle formule contrattuali più diffuse negli ultimi anni, dando maggiore peso alla stabilità.
Dimezzamento del requisito di residenza legale per la cittadinanza dai 10 ai 5 anni per favorire l’inclusione degli stranieri
L’ultimo quesito riguarda il percorso per ottenere la cittadinanza italiana per chi risiede legalmente in Italia. Oggi è richiesto un periodo di 10 anni di residenza continua, ma la proposta vuole ridurlo a 5 anni, quindi dimezzare la durata necessaria. Gli altri requisiti per la cittadinanza resterebbero invariati, ma il tempo minimo di presenza legale sarebbe alleggerito.
Facilitare l’inserimento civico degli stranieri
Questa modifica coinvolgerebbe circa 2 milioni e mezzo di persone di origine straniera, facilitando il loro inserimento civico e sociale. Il cambiamento porterebbe l’Italia ad avvicinarsi alle regole di altri Paesi europei che prevedono tempi più brevi per l’accesso alla cittadinanza ai residenti regolari.
La riduzione dei tempi favorisce la partecipazione attiva nella società italiana e l’accesso a diritti e doveri civici per chi vive stabilmente in Italia. Sostenitori della proposta la vedono come una misura per rendere più equi i criteri di accesso alla cittadinanza, valorizzando la permanenza e il contributo sul territorio.
Questi quattro quesiti rappresentano dunque un complesso di iniziative che possono ridisegnare aspetti importanti del lavoro e della cittadinanza, con un impatto diretto su milioni di persone in Italia.