La tragedia della val di stava, avvenuta il 19 luglio 1985, rappresenta uno dei più gravi disastri civili in italia degli ultimi decenni. Una frana di fango e detriti causata dal cedimento di bacini di decantazione devastò l’abitato di stava, a tesero in trentino, cancellando intere famiglie e lasciando ferite profonde nella comunità e tra i pochi sopravvissuti. Nicola dell’aquila, agente di cambio a milano e marito di una delle vittime, ricorda quei momenti con parole cariche di dolore e memoria.
La mattina della catastrofe: tra borsa e tragedia in trentino
Il 19 luglio 1985 fu un giorno segnato da eventi contrastanti. A milano, la lira crollò nei confronti del dollaro, suscitando tensioni in piazza affari. Nicola dell’aquila, che lavorava lì come agente di cambio, ricevette presto la notizia che avrebbe cambiato la sua vita. Una centralinista fermò Nicola nei corridoi della borsa per chiedergli se sua moglie e sua figlia fossero rientrate dalle vacanze in montagna. Una frana gravissima aveva colpito la val di stava, in trentino, dove soggiornavano madre e figlia. La correlazione tra eventi economici e tragedia personale si materializzò immediatamente, quando dal prefetto arrivò la conferma peggiorativa: l’albergo miramonti, dove soggiornavano, era stato distrutto.
Un disastro causato dal cedimento dei bacini
Quell’incidente fu causato dal cedimento dei bacini di decantazione di un impianto per la lavorazione della fluorite. Intorno alle 12:22 una massa enorme di fango e detriti travolse la zona. In pochi minuti, stava, un piccolo abitato nel comune di tesero, venne spazzato via. Tre alberghi, sessantacinque costruzioni tra abitazioni e capannoni, sparirono sotto metri di fanghiglia. A perdere la vita furono 268 persone, tra cui ventotto bambini di età inferiore ai dieci anni. La portata della tragedia fu immensa, e ancora oggi pesa nella memoria collettiva.
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L’arrivo sul luogo e la drammatica scoperta
Nicola partì subito verso la val di stava, accompagnato da un amico, Italo, con la speranza che le sue donne fossero al sicuro, magari fuori per un’escursione organizzata dall’albergo. Arrivarono a tesero nella serata dello stesso giorno, trovando un paesaggio devastato. I soccorritori scavavano nella notte tra macerie, alberi, e fango. Della realtà che conoscevano non restava nulla, soltanto un grande ammasso caotico di detriti e silenzio funebre. Nicola osservava con crescente sgomento.
La ricerca dei corpi e il ritrovamento
La ricerca dei corpi si concentrò nella chiesa di cavalese, dove le salme venivano portate. Nicola accompagnò il soccorso per identificare la moglie Maria e la figlia Cristina, ma non le trovò tra i corpi recuperati. Ben presto, però, si rese conto che nessuno tra le persone presenti all’albergo quel giorno era rientrato. Quella consapevolezza segnò il confine tra speranza e tragedia.
Nicola accompagnò Italo alla fermata dell’autobus, per riportarlo a milano, ma lui rimase a stava. Dopo aver atteso sulla collina da cui si vedeva la zona investita, vide spuntare dal fango un lembo di vestaglia colorata. Era quella della moglie, inconfondibile. Corse immediatamente verso i soccorritori, che avevano appena recuperato i corpi di Maria e Cristina. Le trovarono abbracciate, dentro la melma, in quell’ultimo gesto di protezione.
Gli ultimi momenti prima della tragedia e il ricordo personale
L’ultimo ricordo che Nicola conserva di sua moglie e sua figlia risale a pochi giorni prima dell’incidente. Maria e Cristina erano in montagna per una breve vacanza; Nicola era rientrato a milano per lavoro mentre loro sarebbero rimaste. Ricorda un saluto semplice ma carico di affetto, tipico di una giovane famiglia che si separa per pochi giorni. Vedendola uscire dal parco giochi, lo sguardo si incrociò con quello di Cristina: la bambina lo raggiunse correndo e saltò tra le sue braccia. Quel momento, semplice e quotidiano, si trasformò in un ricordo sacro dopo la catastrofe.
Quelle immagini riaffiorano vivide nel suo racconto, incise nella memoria come un segno indelebile. Non ci furono segnali premonitori evidenti, nessuna precauzione successiva sufficiente a evitare la tragedia. La normalità si tramutò in un incubo in un battito di ciglia.
Il processo e il senso di giustizia ai giorni nostri
Il lungo procedimento giudiziario che seguì ebbe esiti parziali ma non risolutivi. Alcune condanne furono emesse contro i responsabili della gestione degli impianti, ma nessuno scontò pene detentive significative. Nicola critica apertamente quel risultato, sottolineando come ignoranza e profitto ignorarono i rischi strutturali palesi. Le segnalazioni e allarmi erano stati ignorati fino al crollo fatale.
Il dolore per le vite perse è rimasto, aggravato dalla percezione che la giustizia non sia stata piena. La gestione di quella tragedia, racconta Nicola, sembra ancora oggi un capitolo poco trattato, quasi occultato. Il desiderio di tacere ha contribuito a una memoria dolorosa e frammentata.
La vita dopo stava: il peso di una perdita mai superata
Dopo quarant’anni Nicola mostra un equilibrio segnato da una rassegnazione dolorosa. Il lutto ha lasciato una ferita mai chiusa. Nonostante un secondo matrimonio, non ha mai avuto il coraggio di avere un figlio. La paura di rivivere quella angoscia lo ha frenato. Ogni volta che vedeva una carrozzina, il ricordo della tragedia si faceva presente, quasi irreale.
Racconta come anche la scelta di risposarsi è stata una sfida interiore. Il secondo matrimonio non ha cancellato la sofferenza, ma è stato un passo fatto per amore, non per cancellare il passato. Il racconto di Nicola si chiude con quella fragilità, un segno del peso che certe storie lasciano nei cuori di chi resta.