Il processo in Corte d’Assise all’aquila è ripreso con l’udienza dedicata alla traduzione e all’esame delle prove contro tre cittadini palestinesi accusati di terrorismo internazionale. L’inchiesta riguarda presunte attività collegate a gruppi armati in Cisgiordania, e ha scatenato reazioni fuori dal tribunale, tra manifestazioni e polemiche sulle modalità di indagine e il rispetto dei diritti degli imputati.
Ripresa del processo e testimonianze chiave in aula
Il 2025 ha visto il ritorno in aula a l’aquila per questo caso delicato, che coinvolge Anan Yaeesh, Ali Irar e Mansour Doghmosh. Yaeesh è detenuto dal gennaio 2024; gli altri due sono imputati in libertà. Durante l’udienza, la corte ha ascoltato il perito incaricato di tradurre dall’arabo i documenti fondamentali per il dibattimento. Questo passaggio è cruciale per comprendere appieno il contenuto delle prove e garantirne una corretta interpretazione in giudizio.
Il contributo tecnico di khaled el qaisi
In seguito, si è presentato il ricercatore e mediatore linguistico Khaled El Qaisi, che ha collaborato con la difesa di Doghmosh. La sua testimonianza ha portato un punto di vista tecnico sull’accuratezza delle traduzioni e sulle sfumature linguistiche che potrebbero incidere sulla valutazione delle dichiarazioni e dei documenti operativi.
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Nella fase di scrutinio delle prove, il commissario capo in quiescenza Patrizio Cardelli ha deposto in aula. Cardelli ha diretto le indagini per la Digos al momento degli eventi e ha illustrato l’approccio investigativo adottato, che si è basato su “fonti aperte”. Ha citato piattaforme digitali come Facebook, Instagram, Telegram, e pagine online tra cui Wikipedia, come aree in cui sono stati raccolti dati che indicherebbero il coordinamento o il sostegno a azioni terroristiche da parte degli imputati, con particolare attenzione ad Anan Yaeesh.
Strategie investigative e critiche della difesa
Le ricostruzioni di Cardelli sono state oggetto di contestazioni da parte dei legali degli imputati. La difesa ha criticato sia la selezione delle prove sia le procedure con cui sono state raccolte, mettendo in dubbio la validità dei dati ottenuti da fonti social e siti web. Hanno sottolineato problemi metodologici che potrebbero compromettere la fondatezza delle accuse.
Alcuni membri della difesa hanno osservato come le informazioni da internet possano essere interpretate erroneamente o manipolate e hanno richiesto una valutazione più rigorosa del contesto in cui sono stati acquisiti. È stata anche messa in discussione la tempestività e la completezza delle indagini, e la capacità di mettere in luce eventuali errori o omissioni.
L’ambiente fuori dal tribunale ha visto l’organizzazione di un sit-in in difesa degli imputati. I manifestanti hanno chiesto un processo equo e hanno espresso preoccupazione per alcuni aspetti procedurali e di diritti umani, considerati irregolari o non rispettati.
Contestazioni sulle condizioni dei diritti e prove al centro del dibattito
La protesta pubblica si è focalizzata su alcuni punti critici del procedimento. Tra le accuse mosse si segnala l’ammissione iniziale di confessioni ottenute con metodi coattivi, poi revocate solo dopo ricorsi legali. Questa situazione ha alimentato dubbi sulla legittimità delle prove più controverse.
Limitazioni nella selezione dei testimoni
Un altro aspetto controverso riguarda la limitazione nella selezione dei testimoni: solo tre su 47 richiesti sono stati ammessi a deporre, circostanza che la difesa considera un ostacolo all’accertamento della verità.
Il caso di Anan Yaeesh ha suscitato particolare attenzione per l’impossibilità di leggere direttamente la propria dichiarazione spontanea in aula nella lingua italiana. Il documento è stato invece letto da un’interprete, scelta che i legali e gli attivisti giudicano problematica. Denunciano una possibile alterazione del senso politico del testo, che potrebbe influenzare negativamente la percezione del giudice e dei presenti.
I manifestanti ribadiscono che il processo apre interrogativi sul rispetto dei diritti dei cittadini palestinesi sottoposti a procedimenti giudiziari in Italia e, più in generale, sulla definizione stessa di resistenza in contesti di occupazione come quelli mediorientali.
Le prossime udienze saranno determinanti per valutare come la corte risponderà a questa complessa posizione processuale, che vede intrecciarsi questioni di legalità, diritti umani e sicurezza nazionale.