Il processo per il crollo della funivia del Mottarone, la tragedia del 23 maggio 2021 che ha stroncato la vita di 14 persone, sta per entrare in una fase decisiva. Sono arrivate le prime richieste di patteggiamento. Dopo mesi di revisione delle accuse e trattative, i legali di alcuni dei principali imputati puntano a chiudere il procedimento con pene intorno ai quattro anni di carcere. Al centro del dibattito restano le responsabilità sulle mancate misure di sicurezza che hanno trasformato l’incidente in una tragedia evitabile.
In aula le prime richieste di patteggiamento
Tra due giorni, nell’aula del tribunale di Verbania, verranno presentate le prime richieste di patteggiamento per il processo sulla tragedia del Mottarone. Dopo l’ultima udienza di fine gennaio, in cui la Procura ha ridotto le accuse più pesanti, gli avvocati dei principali imputati hanno lavorato per perfezionare alcune proposte di patteggiamento. Le trattative estive hanno portato a ipotesi di pena intorno ai quattro anni di carcere per i responsabili principali del disastro.
Il caposervizio Gabriele Tadini, noto per aver ammesso l’uso dei “forchettoni” — quei dispositivi che bloccavano i freni di emergenza — ha aperto la strada a questa strategia. Già nel giugno 2022 aveva provato a patteggiare con una pena di circa quattro anni e mezzo, ma la richiesta era stata respinta. Con la riduzione delle imputazioni più gravi, la nuova proposta ha maggiori possibilità di essere accettata. L’avvocato che lo difende ha detto di sperare in una chiusura tramite accordo, viste le modifiche alle accuse.
Altri due imputati, Luigi Nerini, proprietario della società che gestiva la funivia, e Enrico Perocchio, direttore d’esercizio dell’impianto al momento dell’incidente, stanno seguendo un percorso simile. Entrambi stanno trattando con i loro legali per accettare pene simili, intorno ai quattro anni. Le loro posizioni, meno pesanti rispetto alle accuse iniziali, rendono il patteggiamento un’opzione concreta, da formalizzare a breve.
Leitner Spa e i dirigenti: niente patteggiamento
Diverso è il destino dei due dirigenti della Leitner Spa, l’azienda che produce gli impianti a fune coinvolti. Il vicepresidente Martin Leitner e il responsabile del customer service Peter Rabanser sono decisamente contrari al patteggiamento. Sono pronti a difendersi in tribunale, convinti della loro innocenza. Le loro difese puntano a ottenere il proscioglimento, negando ogni responsabilità diretta sulle criticità che hanno portato alla tragedia.
La Leitner Spa, con sede a Leini, vicino a Torino, produce impianti a fune dal 1888 e ha una reputazione solida a livello internazionale. Il coinvolgimento dei suoi dirigenti ha acceso l’attenzione sulla gestione tecnica e sui controlli di sicurezza degli impianti. Nonostante la lunga storia dell’azienda, l’incidente ha sollevato molti dubbi sulle manutenzioni e sulle procedure adottate.
La linea difensiva dei manager è chiara: dimostrare di non aver avuto nulla a che fare con quanto accaduto. Questo contrasta nettamente con la volontà di chiudere il processo con un patteggiamento, scelta adottata da altri imputati. La differenza di strategie segna una divisione netta nel corso del procedimento.
Come è andata la tragedia: i fatti
La cabina numero 3 della funivia Stresa-Mottarone si è staccata il 23 maggio 2021 intorno alle 12.30, precipitando da un’altezza di oltre venti metri vicino alla stazione di arrivo. Le indagini hanno confermato che la rottura del cavo portante, unita al blocco manuale dei freni d’emergenza con i “forchettoni”, ha impedito ogni possibilità di frenata automatica. Quei dispositivi, usati per evitare i frequenti blocchi causati da guasti precedenti, hanno reso l’incidente ancora più grave.
Il bilancio è stato tragico: 14 persone hanno perso la vita. Tra le vittime, intere famiglie, come quella israeliana Biran di Pavia, dove sono morti due genitori con figli piccoli e i nonni. C’erano anche cinque membri della famiglia Malnati e altre persone provenienti da varie regioni italiane, tutte in gita sul lago Maggiore.
L’unico sopravvissuto è stato il piccolo Eitan Biran, di cinque anni, estratto dai soccorritori in condizioni gravissime. La sua storia è diventata simbolo della tragedia, seguita da una lunga battaglia legale per la custodia, tra parenti italiani e familiari in Israele.
Indagini e responsabilità: cosa è emerso
La Procura ha cercato di ricostruire la catena di eventi e di decisioni che hanno portato al disastro. È emerso che l’uso sistematico dei blocchi manuali per disattivare i freni automatici era una grave violazione delle norme di sicurezza. Inoltre, sono state riscontrate negligenze organizzative: manutenzioni scarse e controlli superficiali.
Queste mancanze hanno coinvolto diversi livelli di gestione, tanto che all’inizio si ipotizzavano accuse molto pesanti, come attentato alla sicurezza dei trasporti con aggravante per disastro. Nel tempo, però, alcune accuse sono state tolte, riducendo le responsabilità e modificando i capi d’imputazione.
Il quadro che ne esce è quello di un impianto che funzionava in condizioni pericolose, con scelte fatte per tenerlo operativo nonostante i rischi evidenti. La Procura sostiene che non si sia trattato di un incidente casuale, ma di una tragedia causata da errori e omissioni precise.
Processo in bilico, tensione in aula
Con l’avvicinarsi della nuova udienza, il futuro del processo resta incerto. Da un lato ci sono Tadini, Nerini e Perocchio che puntano a chiudere in fretta con un patteggiamento; dall’altro, i dirigenti Leitner che vogliono affrontare il dibattimento fino in fondo. Questa divisione mette in luce la complessità del caso e le diverse strategie per difendersi o alleggerire le accuse.
L’attesa pesa soprattutto sui familiari delle vittime, che da anni cercano una verità giudiziaria completa. La tragedia ha lasciato un segno profondo nel territorio e nell’opinione pubblica, portando a galla problemi di sicurezza che vanno ben oltre questo singolo caso. Giovedì 8 maggio, quando saranno presentate le richieste di patteggiamento, potrebbe arrivare un segnale chiaro sul destino degli imputati e sulla fine di una vicenda che ancora scuote il paese.