Possibili effetti dei dazi Usa sulla crescita e l'inflazione nell'area euro tra 2025 e 2027 secondo la bce

Possibili effetti dei dazi Usa sulla crescita e l’inflazione nell’area euro tra 2025 e 2027 secondo la bce

La Bce analizza l’impatto dei dazi Usa sull’area euro, evidenziando rallentamenti del Pil e variazioni dell’inflazione tra scenari con tariffe al 10% o un’escalation fino al 28%, con ripercussioni economiche e commerciali.
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L’articolo analizza l’impatto dei dazi USA sull’area euro, evidenziando scenari di rallentamento del PIL e variazioni dell’inflazione, con la BCE che sottolinea l’importanza di un accordo commerciale per evitare effetti economici negativi. - Gaeta.it

L’impatto dei dazi applicati dagli Stati Uniti all’area euro rimane al centro delle attenzioni economiche per i prossimi anni. La Bce ha calcolato diversi scenari sull’effetto di questa tensione commerciale, esplorando il possibile rallentamento del Pil e le conseguenze sull’inflazione. Lo studio prende in considerazione sia ipotesi più leggere, con dazi congelati al 10%, sia situazioni peggiori che vedono un’escalation tariffaria fino al 28%, con reazioni a catena tra Ue e Usa.

L’impatto moderato dei dazi congelati al 10% sulla crescita economica europea

Secondo l’analisi della Bce, nel caso in cui gli Stati Uniti mantenessero fermi i dazi attorno al 10%, lo sviluppo economico dell’area euro subirebbe un rallentamento contenuto. Tra il 2025 e il 2027, il Pil aggregato dei paesi europei perderebbe circa 0,7 punti percentuali rispetto alle proiezioni senza queste tariffe aggiuntive. Questa voce indica soprattutto una crescita più lenta, ma nella sostanza non una recessione.

La Bce definisce questo scenario la linea base su cui confrontare eventuali picchi di tensione commerciale. In effetti l’impatto sulla crescita europea di questa soglia tariffaria rimane relativamente basso, soprattutto in rapporto agli shock economici che hanno caratterizzato il decennio precedente. Le imprese e i consumatori sentirebbero qualche freno alla spesa, soprattutto nel settore industriale, esposto alle esportazioni verso gli Stati Uniti.

Sulle aspettative d’inflazione, invece, la riduzione dei costi imposti dal commercio internazionale rimarrebbe contenuta, mantenendo intorno al 2% il tasso previsto nel 2027. Non emergono effetti significativi sul potere d’acquisto dei cittadini, e nemmeno sulle dinamiche dei prezzi al consumo di lungo termine. La stabilità rimane dunque un elemento chiave, anche con il 10% di dazi.

Lo scenario grave: dazi Usa al 28% e risposte tariffarie europee

La situazione si fa più problematica qualora i negoziati tra Ue e Usa dovessero fallire, con un ritorno alle tariffe annunciate ufficialmente il 2 aprile scorso. In questo scenario – definito grave dal rapporto della Bce – gli Stati Uniti rialzerebbero i dazi medi al 28%. Una misura che evidenzierebbe subito effetti sensibili, aggravati dalla risposta simmetrica dell’Unione europea con contromisure tariffarie.

Il Pil dell’area euro risentirebbe di questa nuova condizione in modo più marcato. Nel 2025 perderebbe circa lo 0,5%, nel 2026 lo 0,7%, mentre nel 2027 il calo si estenderebbe all’1,1%. Complessivamente, la crescita cumulata negli anni menzionati sarebbe inferiore di circa un punto percentuale rispetto allo scenario con dazi fermi al 10%.

Anche in questo caso l’inflazione registrerebbe un cambiamento significativo: al 2027 la variazione dei prezzi scenderebbe all’1,8%, sotto la soglia del 2% che rappresenta il target abituale della Bce. Questo dato riflette la pressione negativa che le tensioni commerciali esercitano sui mercati e la domanda interna europea. Prezzi più bassi possono sembrare un beneficio, ma in realtà indicano un quadro economico più debole.

Le implicazioni dei dazi Usa-ue sulle dinamiche economiche e commerciali

La controversia tariffaria tra Stati Uniti e Unione europea svolge un ruolo importante nel definire i tempi e i modi della ripresa economica post-pandemia. La Bce richiama l’attenzione sul fatto che misure protezionistiche così elevate non si tradurranno solo in numeri sul Pil, ma avranno un peso sulle filiere produttive, gli scambi e la fiducia delle imprese.

Le aziende europee esportatrici verso gli Usa subiranno un aumento dei costi e rischieranno di perdere quote di mercato, con effetti a cascata su occupazione e investimenti. I consumatori europei potrebbero risentire di una minor disponibilità di prodotti o di prezzi più alti su alcune categorie di beni importati.

I negoziati in corso assumono dunque una valenza fondamentale. Un accordo stabile potrebbe evitare un peggioramento attribuibile alla guerra commerciale, mentre la prosecuzione della conflittualità tariffaria potrebbe amplificare gli scenari negativi già delineati. La Bce osserva con attenzione l’evoluzione di questa partita, consapevole delle ripercussioni macroeconomiche che ne deriveranno.

Importanza del compromesso commerciale e cooperazione multilaterale

La definizione di un compromesso sarebbe inoltre cruciale per rafforzare la cooperazione multilaterale nel commercio internazionale, un sistema da tempo sotto pressione. Al momento, le previsioni indicano che il percorso europeo si muoverà tra cautela e tentativi di contenimento del danno, in attesa di sviluppi sui fronti diplomatici tra Washington e Bruxelles.

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